Il termine pieve indica tre elementi essenziali: il popolo (dal nome stesso che viene dal latino plebs) cioè la comunità dei fedeli battezzati, la chiesa con il fonte battesimale e la sua dote beneficiale e il territorio.
L’antichità della pieve è in relazione allo sviluppo dell’agricoltura nel territorio. La pieve di Monteporzio è nominata, insieme con altre 20 pievi della diocesi di Senigallia, nella bolla di Onorio III del 29 maggio 1223 al vescovo Benno e di Gregorio IX del 1 novembre 1232 al vescovo Giacomo III .
E’ certo che l’attuale territorio parrocchiale di Castelvecchio era in quello dell’antica pieve di Monteporzio. Forse a destra del Rio Maggiore non esisteva altra pieve; il dubbio potrebbe riguardare i confini della pieve di San Gervasio di Bulgaria, se cioè veramente terminassero a sinistra del Rio, e l’attuale territorio di Monterado a sinistra del Cesano, se cioè il feudo avellanita causasse qualche implicazione. Soggetta alla pieve era la chiesa di San Cristoforo di Castelvecchio, come si ha da Rationes Decimarum del Sella . Altre chiese site nel pievanato erano quelle di San Giovanni e di San Martino, di cui esistono tuttora i toponimi; di queste chiese, ubicate in collina, si è parlato nei capitoli precedenti.
Si è parlato della chiesa dai documenti nota come la più antica del nostro territorio; San Pietro dei Bulgari nel fondo Montis Porci nella località Bulgaresca o Bulgarisco. Dove era il sito preciso di tale chiesa e quale ne è la sua fine? Per ora non si ha risposta a questa domanda, come per ora non si risponde all’altra domanda come mai nei documenti del Duecento, nelle citate bolle pontificie e nelle Rationes decimarum, di cui più avanti, non si accenna al Santo titolare della chiesa. È ciò indizio di un periodo di transizione e di incertezza per la vecchia chiesa in rovina e abbandonata? Inoltre, l’attuale è il sito preciso della primitiva chiesa di San Michele? La domanda è giustificata anche dalla possibile ipotesi che il «rio San Michele», di cui parla il documento della investitura ai Montevecchio, possa riferirsi alla nostra chiesa. È anche da rilevarsi al riguardo la strana orientazione della chiesa verso la collina e che volta le spalle al centro abitato, come probabile indizio che la popolazione primitiva si concentrava in collina e che poi è scesa all’arrivo dei Montevecchio. La sintesi delle vicende storiche della pieve si ha dalla serie dei pievani, avvertendo che la serie è ininterrotta solo dal Cinquecento.
Testo tratto da “Monte Porzio e Castelvecchio nella storia” Mons.Alberto Polverari
San Michele Arcangelo Michele è l’Arcangiolo (Arcangelo) guerriero, il principe delle milizie celesti, l’avversario di Satana, in lotta contro il quale è rappresentato dagli artisti e descritto dalla Scrittura. Il suo nome infatti significa «Chi come Dio?», ed è un grido di guerra contro chiunque presuma di farsi uguale a Dio.
La sua figura – anche se priva di nome – appare nelle prime pagine della Bibbia, a guardia della porta del Paradiso terrestre, ormai per sempre precluso ai progenitori dell’uomo dopo il loro peccato. E la sua ultima, definitiva, e vittoriosa battaglia contro Satana avverrà alla fine dei tempi, ed è già stata descritta da San Giovanni, nella visione dell’Apocalisse, ultimo libro della Sacra Scrittura.
Il vincitore del male e nostro alleato nella quotidiana lotta contro le sue forze, è anche la guida dell’anima al momento del trapasso. Sarà al nostro fianco nel giorno del Giudizio, e a lui la Chiesa, nella Messa dei defunti, raccomanda le anime avviate verso «la luce santa».
Torna nella chiesa parrocchiale la tela di San Michele Arcangelo.
L’angelo che sconfigge Satana e difende il popolo cristiano nella lotta contro il male.
Finalmente, dopo lunghi anni di assenza, è tornata nella sua pieve la bella tela all’altar maggiore con raffigurato san Michele Arcangelo, validissima composizione conforme alla figurativa marchigiana del secolo XVI partecipe di suggestioni classicistiche e raffaellesche (come scrive mons. Angelo Mencucci, in Senigallia e la sua Diocesi. Storia, fede, arte, volume II. I Comuni della Diocesi, Editrice Fortuna, Fano 1994, p.1350), debitamente restaurata da Giuliano Rettori, sotto la direzione della Soprintendenza ai beni artistici e storici delle Marche di Urbino.
L’opera di restauro, da lungo attesa, è stata resa possibile grazie alla generosa donazione (5.000 euro) -in memoria della Sig.na Romani Maria- proveniente dalla Fam.glia Terni Filippo e Amelia Vittoria, mediante la Sig.ra Carmi Pia Teresa, ai quali tutta la Comunità Parrocchiale esprime un riconoscente ringraziamento.
Per festeggiare il ritorno nella chiesa parrocchiale della tela settecentesca di San Michele Arcangelo, Sabato 26 Novembre 2005 alle ore 21 è stato eseguito un Concerto polifonico del Coro AE. & O. Guidi di Monte Porzio, diretto dal M.° Pierluigi Montesi, con la collaborazione dell’organista M.° Claudio Speranzini ed è stata posta una targa che ricorda come l’opera di restauro è stata resa possibile grazie alla donazione della Famiglia Terni, in memoria di Maria Romani.
San Michele è il titolare della Chiesa Parrocchiale e il patrono di Monte Porzio. La sua festa liturgica cade il 29 settembre. Ad attribuire a questa data la celebrazione è il fatto che in questo giorno a Roma si commemorava la dedicazione della chiesa in onore di san Michele costruita sulla via Salaria nel V secolo.
Il nome Michele esprime il suo ruolo nel progetto di Dio ed è quasi una professione di fede.
“Mi-ka-El” in ebraico significa: “Chi-come-Dio?”
La figura del santo arcangelo Michele è ben nota nelle Sacre Scritture. Nel libro del profeta Daniele (un’opera di taglio apocalittico, segnata cioè da immagini veementi e da fremiti di attesa per il giudizio divino definitivo sulla storia dell’umanità e sulle sue ingiustizie), nel passo 12,1-3, Michele è l’angelo che difende la causa di Dio e del suo popolo:
Or in quel tempo sorgerà Michele, il grande principe, che vigila sui figli del tuo popolo.
Vi sarà un tempo di angoscia, come non c’era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo;
in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro [della vita].
Nel passo sopra citato egli è definito come il grande principe. Questo titolo è da connettere alla sua collocazione nell’assemblea della corte celeste, ove gli angeli sono raffigurati ‑secondo un’antica concezione giudaica, passata anche nel cristianesimo‑ in varie gerarchie. Nel libro di Daniele, al capitolo 10, si presenta Michele come Auno dei primi prìncipi: il suo compito, infatti, è quello di essere a capo spirituale di Israele, suo protettore dall’alto. Tutte le nazioni, infatti, hanno un loro principe angelico. Con queste presenze soprannaturali si vuol ricordare che la storia non è solo in mano ai prìncipi e signori terreni e alle loro manovre politiche; c’è un progetto più alto che Dio conduce attraverso i suoi messaggeri, gli angeli.
La figura di Michele riappare in uno scritto neotestamentario poco noto ma suggestivo, anch’esso segnato da venature apocalittiche, la Lettera di Giuda, dove al versetto 9 si legge:
“Ma l’arcangelo Michele quando,
contendendo col diavolo, disputava per il corpo di Mosè,
non osò portare contro di lui un giudizio di bestemmia,
ma disse: Ti punisca il Signore!
La Lettera di Giuda cita qui un’opera apòcrifa (e quindi non appartenente alla Bibbia) intitolata Assunzione di Mosè, dove Michele si scontra col diavolo per strappargli il corpo di Mosè, appena deceduto. Bastò un semplice ordine per strappare al diavolo il corpo santo della guida di Israele nel deserto. Ma l’autore della Lettera di Giuda combatte contro una più attuale pretesa demoniaca, quella dei falsi maestri che s=infiltrano nella comunità cristiana. Gli epìteti che riserva loro sono coloriti: empi e dissoluti, impuri, ribelli, infami, sobillatori, svergognati, adulatori, superbi, impostori. Si tratta di un monito severo contro una piaga costante della cristianità, quella delle degenerazioni religiose, capaci di far impallidire Ala fede santissima e di disgregare l’edificio spirituale della Chiesa (versetto 20). Il filosofo inglese del 600 David Hume ricordava che agli errori dei filosofi sono ridicoli, ma quelli della religione sono sempre pericolosi.
Nella veste di difensore del popolo di Dio contro Satana, l’arcangelo Michele ritorna in scena nell’ultimo libro neotestamentario, il libro dell’Apocalisse, al capitolo 12,7-9. Ivi egli sferra un attacco contro il drago rosso (il colore del sangue versato dalla violenza) con sette teste coronate e dieci corna, simboli del potere oppressivo, e lo fa per difendere la donna e il figlio da lei appena partorito, immagine del popolo di Dio e della Chiesa nella quale è presente il Cristo (la tradizione vi vedrà Maria, la madre di Gesù). Ecco le parole dell’Apocalisse:
“Scoppiò una guerra nel cielo:
Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago.
Il drago combatteva insieme con i suoi angeli,
ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo.
Il grande drago, il serpente antico,
colui che chiamiamo il diavolo e Satana e che seduce tutta la terra,
fu precipitato sulla terra e con lui
furono precipitati anche i suoi angeli”.
Michele è, dunque, l’alfiere del bene che si erge a difesa dei giusti e che sfida il potere del male che si annida non solo negli imperi e nella loro arroganza e violenza, ma anche nell’intimo di ogni persona.