I NOSTRI CASTELLI INTORNO AL MILLE

CASTEL SAN PIETRO, CASTEL GIRARDO, MONTALPORCO,
MONTE CERREGNO E BUSICCHIO. CASTEL BERARDO E CASTELVECCHIO
I documenti, che fanno un pò di luce nei secoli bui dell’alto e basso evo medio per il nostro territorio, sono quelli stessi dei tre monasteri proprietari o possessori della maggior parte delle nostre terre e cioè: San Lorenzo in Campo, San Gervasio e Santa Maria in Portuno (Madonna del Piano).
L’abbazia di San Lorenzo in Campo 20, di cui Montalporco sarà un feudo, con l’iscrizione nella cripta di San Demetrio di Tessalonica, venerato dai militari greci, ci richiama al dominio bizantino della Pentapoli.
Il monastero di San Gervasio di Bulgaria ci richiama alla immigrazione dei Bulgari, di cui si ha il ricordo nella chiesa e nel castello di San Pietro dei Bulgari, il primo centro abitato noto nel nostro territorio.
L’abbazia di Santa Maria in Portuno, identificata con la Madonna del Piano nel territorio di Corinaldo, collega la nostra storia con l’insigne eremo di Santa Croce di Fonte Avellana, che poi con i beni della Madonna del Piano, unita ad essa nel sec. XII, troverà nei nostri luoghi, specialmente a Corinaldo e Monterado, la parte più ricca delle sue proprietà.
Di questi tre monasteri si hanno notizie su vari castelli, cui allude la ricordata iscrizione sulla distruzione di Suasa da parte di Alarico. Di questi castelli riguardano il territorio di Monteporzio: il Castel San Pietro dei Bulgari, il Castel Girardo, Montalporco, Monte Cerregno e Busicchio, siti nel territorio parrocchiale di Monteporzio; il Castel Berardo e Castelvecchio, siti nel territorio parrocchiale di Castelvecchio. Il castel San Pietro è ricordato nelle carte di San Lorenzo in Campo con la chiesa, il vico dei Bulgari, il fondo e la corte23: finora non è stato possibile identificarne l’ubicazione; dal sec. XII non se ne ha più traccia, mentre il riferimento alla «corte» di San Pietro potrebbe indurre alla identificazione con altri castelli.
Il nome di Castel Girardo o di Bono di Girardo ricorre frequentemente nelle carte di Fonte Avellana e di San Gaudenzio. Il nome della persona «Girardo» si ripete anche nel sec. XIV. Il più antico dovrebbe ritenersi il padre di Bono prete e fidecommissario, con Carboncello di Alberto, di Ingo di Giovanni, di Girardo suo figlio e di Pietro figlio di Girardo. Il castello è certamente distinto da quello di Montalporco, come anche dal documento, pubblicato in Appendice, sulla questione tra Fonte Avellana e San Lorenzo riguardo ai beni siti al «poggio o castellare di Gherardo, al castellare di Castelvecchio e al poggio o castellare di Montalporco». Una indicazione per la identificazione del castello viene dalle carte di San Gaudenzio, che parla di una via per andare da Monte Cerregno, di cui più avanti, al castello di Girardo. Un documento del 18 ottobre 1249 Castel Girardo viene situato in «Valdetenda», ma anche questo topo- nimo non è stato precisamente ubicato.
Il nome «Montalporco», in latino Mons Porcus o raramente Mons Porcorum, dal duecento in poi è il nome più usato ad indicare il fondo, il castello (o castellare o castrum), la corte, la pieve, e finirà per prevalere, escludendo gli altri, quando si formerà il centro abitato. È usato in vari modi: «Mont’al Porcho», «Mont’el Porcho», «Mont’Al Porcho»… Ma contemporaneamente allo sviluppo di questo centro abitato si sarebbe accentuato l’uso sgradevole del «monte dei porci» cosicché il termine venne cambiato in «Monteporzio». Già in latino si riscontra il nome Mons Portius alla fine del Cinquecento nel Ridolfi, più avanti citato. In volgare «Montalporco» resisterà fino alla prima metà del Seicento, nei documenti locali e curiali. Non vi è dunque nessuna incertezza sulla etimologia del nome «Monteporzio», piccola variante del nome originario. È opportuno tuttavia accennare ad altre tre etimologie secondo alcuni scrittori. Il Locchi, seguito dal Canestrari, propone la etimologia di «Monte del Poggio», appoggiandosi ad una bolla di Leone X, dove però Mons Podii si riferisce all’odierno «Poggio» sito tra Mondavio e San Giorgio28. Il Ridolfi, seguito dal Montanari, vede la origine da «Monte della porzione», perché nella divisione fatta tra i conti di Montevecchio a ciascuno sarebbe toccata la sua portio29. Il Torri infine fa derivare il nostro castello dalla famiglia romana Porzia, perché in questi luoghi si sarebbero svolte alcune fasi della battaglia del Metauro, nella quale si erano distinti il pretore Lucio Porzio Licinio e Marco Porcio Catone.
Il termine «Monte Cerregno», che si trova usato nei documenti dei secoli XII e XIII31, ha l’analogo significato di Montalporco.
«Cerregno» difatti significa «bosco di cerri» ed è lo stesso che «Cerreto» con la desinenza longobardica (come Morbegno, Casal Pusterlengo …), luogo ideale per l’allevamento dei porci32.
Il castello di «Busicchio» è nominato nel citato documento spurio sulla donazione di Castel Berardo all’abbazia di San Lorenzo in Campo da parte di Gottifredo di Aldigerio33 e in un documento avellanita del 24 maggio 1291 sulla vendita del con vento di Piaggiolino e di altri beni, tra i quali quelli siti nella corte di Castel Girardo, Castel Berardo e Busicchio, da parte degli eremiti di Sant’Agostino ad Albertino di Fonte Avellana34 Data l’incertezza dei documenti, si potrebbe fare l’ipotesi della identificazione di questo castello con quello di San Pietro nel vico dei Bulgari «in Bulgaresco» o Bulgnisco.
«Castelvecchio» per la prima volta si riscontra in un documento dell’aprile 1143 tra le carte di Fonte Avellana35 e poi ancora tra quelle di San Gaudenzio nell’anno 119636. Il sito è identico all’attuale. Come castello si svilupperà più tardi: nei secoli XII-XIII è segnalato come fondo nella corte di Castel Berardo37.
Anche «Castel Berardo» (castrum Berardi) si riscontra già in alcuni documenti del sec. XII. Il 3 agosto 1149 Panfilia dona all’abbazia di San Lorenzo in Campo i beni, siti in vari luoghi, tra cui Castel Berardo. È una donazione condizionata alla restituzione degli stessi beni dall’abbazia alla donatrice, che difatti nello stesso giorno li riceve in enfiteusi a terza generazione. Il nome del castello ritorna anche nel documento spurio della donazione di Gottifredo di Aldigerio de castro Berardi39. La corte di Castel Berardo comprendeva le «piagge di San Martino», site nel toponimo tuttora esistente, e si estendeva fino al rio Maggiore.
È necessario fare un accenno ai castelli del territorio di Piaggiolino fino a Ponte del Rio, ora per la maggior parte soggetto a Monterado ma allora sotto la corte di Castel Berardo (o anche di Montalporco in qualche documento) e la pieve di San Michele Arcangelo, come si vedrà al capitolo IX.
Sono qui ricordati particolarmente due castelli: il castello di Bulgaro e il castello dei Gufi.
Il castello di Bulgaro è nominato nelle carte avellanite-agostiniane in un documento del 27 dicembre 1264, quando Guiduccio e Ugolino figli del fu Paterniano di Castellare vendono agli eremiti di Piaggiolino una terra sita nella corte del Castellare Bulgari e nella serra di San Martino verso Rio Maggiore 40, e ancora in un altro documento del 13 febbraio 1265, in una vendita di Giovannetto di Castel Girardo agli stessi eremiti con il pegno, in caso di inadempienza delle condizioni, di una possessione sita nel Castellare di Bulgaro «in monte Galgano».
Il castellare «de Guphis» viene nominato in un documento avellanita del 7 dicembre 1290 e situato presso Piaggiolino42.
Una ipotesi potrebbe allargare le ricerche su questi antichi castelli, ritornando sulla ubicazione del castello e chiesa di San Pietro con il vico dei Bulgari, il fondo e la corte. Siccome non si è mai avuto la minima traccia di una chiesa di San Pietro nel territorio di Monteporzio (e di Castelvecchio), questa non potrebbe essere indicata nella chiesa presso Stacciola intitolata appunto a San Pietro? Tale ipotesi potrebbe essere favorita dai numerosi toponimi longobardici nella zona; nel caso sarebbe probabile la ricordata (alla nota 22) opinione del Pierucci.

SIGNORI FEUDALI
TRA I MONACI DI SAN LORENZO IN CAMPO E FONTE AVELLANA
La successione nei passaggi dei proprietari delle nostre terre non è un mistero ed è fondata, si direbbe esclusivamente, nella violenza e, quando si appella al diritto, si conferma sempre con il diritto del più forte. I vincitori Romani si appropriano le terre dei vinti Celti e le nostre campagne saranno state certamente oggetto della esecuzione della Legge Flaminia sull’Agro Gallico, come anche più tardi della legge triumvirale sull’Agro Senigalliese da parte dei Triumviri vittoriosi. Poi vengono i barbari e i documenti su atti stilati secondo la legge longobardica accerta che quasi tutti i proprietari terrieri sono Longobardi e Bulgari. Ma i signori non si sentono sicuri di fronte alla violenza dei rivali e allora cedono la proprietà ai monasteri, in genere rispettati, ma con una donazione condizionata cioè a condizione di poter rientrare in possesso dei beni donati con il diritto di enfiteusi. I monasteri poi si rafforzano chiedendo privilegi agli imperatori, ai re e anche ai papi ed ai vescovi e nel dare il possesso si preoccupano che la successione non vada al conte o al marchese o ad altra chiesa che non sia la loro. I comuni, le signorie, le commende continuano il sistema e così via fino ai nostri giorni, quando i compromessi sono compromessi di forze.
I documenti dei secoli XI-XV fino all’arrivo dei Montevecchio danno molti nomi dei signori, nomi prevalentemente germanici, che popolano questi luoghi, a cominciare dai due che hanno dato origine ai toponimi di Castel Girardo e di Castel Berardo.
Come è già stato ricordato, Girardo si riscontra fin dal 1090 nel prete Bono di Girardo e poi ancora nel castello Cerregno Boni Girardi del novembre 1126 e nella corte di Bono Girardi del 24 maggio 1139. Questo nome di Girardo si ripete nelle varie generazioni, come anche nello stesso documento del 1090 si parla di Girardo, figlio di Ingo di Giovanni e padre di Pietro. Nella citata pergamena 148 del Collegio Germanico. Giacomo di Castel Girardo rinnova il 5 novembre 1223 a Fonte Avellana il diritto di pascolo anche a nome del suo figlio Girardo. Questo Giacomo di Castel Girardo è un signore ricco e potente ed il suo nome ricorre spesso sia nelle carte di San Gaudenzio1 sia in quelle di Fonte Avellana2.
Anche Berardo, che ha dato il nome a Castel Berardo, è antico e si ricorda la prima volta nella citata donazione di Panfilia del 3 agosto 1149. Si può fare l’ipotesi che fosse già esistito nel secolo precedente. Pure questo nome ricorre in seguito, come nella più volte citata pergamena 148 del Collegio Germanico, nell’atto del 12 maggio 1189 quando Rocco e Berardo, figli del fu Tancredo, concedono il diritto di pascolo nella valle del Cesano a Fonte Avellana.
Altro signore ricco e potente del Duecento è Guido de Monte Porco, che è imparentato con il detto Giacomo di Castel Girardo, come si ha dal documento agostiniano, pubblicato dal Pierucci3, del 27 settembre 1269, quando «Giacomuzio, Guidolino (e Sora) figli della fu Kera, figlia del fu Giacomo di Castrogirardi, e di Artrotto di Guido di Monteporzio» si accordano su beni siti a Piaggiolino, nella serra di San Martino e nel fondo San Lorenzo antico (san Lorenzo è il titolare della chiesa di Piaggiolino). Ricorre più volte nelle carte di San Gaudenzio4.
Anche se il documento, già pure citato, e riportato in Appendice dei documenti nei Regesti Senigalliesi al n. 15 alla data del 4 marzo 1177 è dubbio, si ricorda Gottifredo di Aldigerio di Castel Berardo, persona probabilmente storica sia pure nella spuria o dubbia data e azione giuridica.
Due signore sono menzionate nelle donazioni a San Lorenzo in Campo: Imelda e Panfilia 5. Imelda del fu Guglielmo, con Corrado del fu Sifredo, dona il 21 ottobre 1127 i suoi beni, siti nel vico dei Bulgari ed in altri fondi e luoghi. Panfilia del fu Alberico il 3 agosto 1149 dona, consenziente il marito, le sue terre, vigne e alberi, siti in Castel di Mare, in Panicaria, in Marciano, in Fornaria, in Frattula, nel Castel Berardo ed in Roncole: come si è già detto, è una donazione esplicitamente condizionata a che tutto le sia restituito in enfiteusi a terza generazione, come di fatto avviene nello stesso giorno.
Queste citazioni sono soltanto indicative di persone dimoranti nei nostri luoghi in quei secoli bui e debbono essere arricchite e completate sui documenti, editi o no, tra gli autori e i destinatari, tra i testi e gli scrittori, in genere tra gli antroponimi.
Forse l’imparentamento di Guido di Monteporzio con Giacomo di Castel Girardo favorì l’unificazione di tutto il territorio compreso tra i confini di Orciano e Ponte Rio. Comunque, nel Trecento questa è un fatto compiuto, come si prova dal documento sulla lite tra le due abbazie di San Lorenzo in Campo e Fonte Avellana. Nella decadenza monacale di quel secolo e nella invadenza dei signori feudali vi era l’incertezza nell’attribuire a quale dei due monasteri avrebbe dovuto riferirsi la concessione enfiteutica, sulla quale i signori giustificavano il possesso delle terre. Di questa lite si hanno i dicta testium, cioè l’interrogatorio avvenuto probabilmente nell’anno 1442, certamente nel periodo dell’abate Ugo di San Lorenzo in Campo 6. Viene qui rivelata la successione dei cinque signori, che immediatamente precedono l’investitura ai Montevecchio e cioè: Giovanni Gugliozzi (Guiglocii, Guglottii) forse un Malatesta, Andrea suo figlio, Galeotto Malatesta di Rimini, Pietro Galeotti e Gaspare suo fratello.
Giovanni Gugliozzi possiede tutte le terre del nostro territorio con il poggio o castellare di Gherardo, con il castellare di Castelvecchio e con il poggio o castellare di Monteporzio fin dai primi anni del Trecento; anzi, stando ai documenti finora conosciuti, non è escluso che tale inizio sia negli ultimi anni del Duecento, trovandosi nella penultima generazione prima di Galeotto Malatesta, di cui più avanti.
I testi precisano anche i confini di questo territorio, che corrispondono più o meno a quelli indicati nella concessione dell’abate Ugo al nepote Guido e della quale si tratterà nel capitolo seguente. Inoltre aggiungono che a lui e dietro sua istanza venivano pagati i pedaggi; si precisa che egli teneva la manutenzione del ponte al Rio Maggiore (Ponte del Rio o Ponte Rio) e che tutti quelli che vi passavano con le loro mercanzie di qualsiasi specie dovevano versare il tributo.
Andrea succede al padre Giovanni, alla sua morte e senza soluzione di continuità.
Alla morte poi di Andrea gli succede Galeotto Malatesta, un personaggio tra i più celebri della storia italiana del Trecento: prima della venuta del cardinal Albornoz aveva conquistato quasi tutte le Marche con il fratello Malatesta ed il nepote Malatesta Ungaro, rendendo la signoria dei Malatesta la più vasta dopo quella dei Visconti; sconfitto a Paderno, ritorna in auge, viene insignito della dignità di senatore di Roma e, dopo aver portato la sua famiglia all’apogeo, muore vecchio a 86 anni a Cesena il 21 gennaio 13857. Soltanto i primi due testi, Pietro Verdelini e Lello Francioni, fanno esplicitamente il nome di Galeotto Malatesta; il terzo, Patricello di San Costanzo, parla in plurale dei magnifici signori Malatesta; gli ultimi due, Coppo e Brunaccio di San Costanzo, tacciono sui Malatesta e fanno seguire immediatamente ad Andrea di Giovanni i signori Galeotti Pietro e Gaspare.
Pietro Galeotti succede a Galeotto Malatesta alla morte di questi. Quanto afferma il teste Patricello, che parla in plurale dei Malatesta, si può spiegare ricordando la solidarietà tra i membri della famiglia riminese. Quanto poi alla successione immediata da Andrea di Giovanni a Pietro Galeotti, di cui parlano i due testi Coppo e Brunaccio, si può spiegare o perché non erano bene informati oppure considerando Pietro come vicario dei Malatesta.
Gaspare Galeotti, succeduto alla morte del fratello Pietro e su cui tacciono i primi due testi, è l’ultimo feudatario prima dei Montevecchio, che rimarranno per secoli signori di Monteporzio.
Il nostro territorio, essendo soggetto ai Malatesta, probabilmente non subisce danni con il passaggio della Compagnia di fra Morreale, che nell’inverno tra il 1352 e il 1353 saccheggia la valle del Cesano e particolarmente Mondolfo e San vito. I Malatesta avrebbero pagato 65 mila fiorini d’oro perché il gran flagello non recasse danni ai loro luoghi.
Già prima, cioè nel 1316, aveva interessato parte dei nostri luoghi un episodio della guerra tra Fano e Fabriano. In quell’anno i Fabrianesi avevano occupato e saccheggiato i castelli di Castelvecchio e di Stacciola.

Tratto da “Monte Porzio
e Castelvecchio nella storia” Mons. Alberto polverari