BEATI I POVERI IN SPIRITO Mt 5,1-12
Commento al vangelo di p. Alberto Maggi OSM
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Le beatitudini sono indubbiamente il capolavoro del vangelo di Matteo, un capolavoro non soltanto dal punto di vista teologico, vedremo la sua ricchezza spirituale, ma anche letterario.
Vediamo allora nel capitolo 5 del vangelo di Matteo questo testo straordinario. Scrive l’evangelista: “vedendo le folle, Gesù salì sul monte”, vedendo le folle Gesù non si distanzia, non prende le
distanze, ma le vuole attivare dove? Su “il” monte. Questo monte è preceduto dall’articolo determinativo, il monte, non è un monte qualunque, ma non si dice quale monte è. Qual è il significato di questo? Il monte, nella tradizione biblica, ebraica, indicava e il monte Sinai, dove Dio, attraverso Mosè, diede, stipulò l’alleanza con il suo popolo, ma anche la sfera, la condizione divina. Quindi Gesù, attraverso la proclamazione di queste beatitudini, vuole portare le folle, ogni persona, quindi è un invito valido per sempre, a raggiungere la condizione divina. “Si pose a sedere”, nell’atteggiamento del maestro, “si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo”, e qui l’evangelista presenta le beatitudini. È un lavoro minuzioso quello che ha fatto Matteo: ha calcolato non soltanto il numero delle beatitudini, ma
persino con quante parole comporre queste beatitudini secondo le tecniche letterarie dell’epoca. Le beatitudini sono esattamente 8 perché il numero 8, nella tradizione spirituale, nel cristianesimo
primitivo, indicava la risurrezione di Gesù, che è risuscitato il primo giorno dopo la settimana. Per questo i battisteri, luogo dove si riceveva battesimo, avevano sempre la forma ottagonale. Allora il
numero 8 indica la vita che non viene interrotta dalla morte. L’evangelista vuole indicare che, con l’accoglienza di queste beatitudini, si ha dentro di sé una vita, che poi sarà capace di superare la morte. Ma non solo: l’evangelista calcola anche il numero di parole con le quali comporre le beatitudini, e sono esattamente 72, e l’evangelista proprio ha voluto creare questo numero perché,
ad un certo momento, si vede che c’è una ripetizione di un qualcosa che non era necessario per il testo. Perché 72? Perché, secondo il calcolo contenuto nel libro della Genesi al capitolo decimo,
nella versione greca, i popoli pagani, conosciuti a quel tempo, erano 72. Qual è l’intento dell’evangelista? Mentre, sul Sinai, Mosè ha proclamato i comandamenti, che erano riservati al popolo d’ Israele, su questo monte, che sostituisce il Sinai, Gesù non riceve da Dio la nuova alleanza, ma Lui, che è Dio, proclama la nuova alleanza, che è valida per tutta l’umanità. La prima delle beatitudini è la più importante di tutte, perché è la chiave perché possano esistere tutte le altre, e Gesù inizia proclamando: “Beati”. Qual è il significato di questa espressione? È una felicità talmente grande che si pensava irraggiungibile su questa terra. A quel tempo, in quella cultura, i beati erano gli dei, che godevano dei privilegi non concessi agli umani. Dall’ espressione greca “beato”, deriva poi l’esclamazione nostra in italiano, quando diciamo “magari”, ecco la radice
è la stessa; qualcosa di desiderato, qualcosa che ci sembra impossibile, quindi è il massimo della felicità. Ma, per comprendere le beatitudini, questa acclamazione di Gesù “beati” bisogna sempre
metterla dopo le situazioni, o le indicazioni che lui mette.
I primi beati sono “i poveri in spirito”. Va subito detto che Gesù non proclama mai beati i poveri. I poveri sono disgraziati, che è compito della comunità cristiana togliere dalla loro situazione di infelicità. Gesù non chiede ai suoi discepoli di andarsi ad aggiungere ai tanti, troppi poveri che la società sforna, ma di impegnarsi per eliminare le cause della loro povertà. Gesù proclama: ”beati i poveri in spirito”, o di spirito. La particella greca si può tradurre in tre maniere, vediamo quale può essere il significato. Poveri “di” spirito, cioè quelli che sono carenti di spirito, i cretini, ma non è possibile che Gesù proclami come massima aspirazione dell’uomo la stupidità, quindi la scartiamo. Può essere poveri “in” spirito, cioè una persona che, pur possedendo dei beni, ne è spiritualmente distaccata e, guarda caso, questa è stata proprio la spiegazione portata avanti dalla chiesa. Ma Gesù non chiede una povertà spirituale, ma chiede una povertà immediata. Quando s’incontrerà o scontrerà con il ricco, non gli chiederà di distaccarsi spiritualmente dalle sue ricchezze, ma chiede
un distacco immediato e reale. Allora la terza possibilità è poveri “per” lo spirito, cioè non quelli che la società ha reso poveri, ma quelli che liberamente, volontariamente, per lo spirito, per questa forza
interiore che hanno dentro, scelgono di entrare in questa condizione. Che non significa, come abbiamo detto, andarsi ad aggiungere ai tanti, troppi poveri, che la società continuamente sforna, ma significa diminuire il proprio livello di vita, il proprio tenore di vita, per permettere a quelli che lo hanno troppo basso d’innalzarlo un po’. Questi sono i poveri nello spirito, sono coloro che
accettano di condividere generosamente quello che sono e quello che hanno. I poveri in spirito, quelli che fanno questa scelta, Gesù li proclama beati “perché di essi è”, il verbo è al presente, non è una promessa al futuro, ma una possibilità immediata, al presente,
“perché di essi è il regno dei cieli”. Purtroppo, in passato, questo regno dei cieli ha creato tanta confusione, è stato compreso come un regno nei cieli, come se fosse l’aldilà, ed infatti si diceva appunto ai poveri che loro erano beati perché sarebbero andati in paradiso. Nulla di tutto questo. Matteo è l’unico evangelista che adopera questa espressione “regno dei cieli”, laddove tutti gli altri
usano l’espressione “regno di Dio”. Già Gesù aveva proclamato l’invito necessario alla conversione, perché era vicino il regno di Dio. Con l’accoglienza delle beatitudini il regno di Dio diventa una realtà.
Ma cosa significa questo “regno dei cieli”? Che Dio governa i suoi. E come governa Dio i suoi? Non emanando leggi esterne all’uomo che questi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa
capacità d’ amare. Allora Gesù dice: quelli che liberamente, volontariamente, scelgono questo, beati perché, da questo momento preciso in cui fanno questa scelta, accolgono questa beatitudine, permettono a Dio di manifestarsi come Padre nella loro esistenza. Poi seguono tutte le altre beatitudini in serie di tre. Le prime tre riguardano sofferenze dell’umanità, che una comunità – le
beatitudini non sono per un individuo, sono per una comunità – che la comunità cristiana è chiamata a liberare da queste sofferenze, e poi gli effetti, la fioritura d’amore all’interno dei singoli e della
comunità dall’accoglienza di queste beatitudini.