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XXVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO – 8 OTTOBRE 2017

DARÀ IN AFFITTO LA VIGNA AD ALTRI CONTADINI.
Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
Mt 21,33-43
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di accogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Pretendono di essere gli unici rappresentanti di Dio, i detentori della sua volontà, quando in realtà ne sono i nemici e sono il principale ostacolo all’amore di Dio per il suo popolo. La denuncia di Matteo contro la casta sacerdotale al potere è spietata. Leggiamo nel capitolo 21, dai versetti 33-43.
Gesù ha denunciato i sommi sacerdoti e agli anziani, i capi del popolo, li ha denunciati dicendo che quelle categorie che loro considerano le più lontane da Dio, quali i pubblicani e le prostitute, in realtà li hanno preceduti nel regno di Dio e loro sono rimasti fuori.
E Gesù continua dicendo “Ascoltate un’altra parabola”, quello di Gesù non è un invito, ma un ordine imperativo, quindi Gesù si rivolge, con che autorità gli avevano chiesto, con che autorità
gli avevano chiesto, con che autorità fai questo? E Gesù mostra qual è la sua autorità, in maniera imperativa, “Ascoltate un’altra parabola”, è la terza e ultima parabola che ha come oggetto la
vigna. Sappiamo che la vigna nella Bibbia rappresenta il popolo che Dio ha curato.
“C’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna”, il riferimento qui è al profeta Isaia, capitolo 5, al canto d’amore di Dio per la sua vigna, “la circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre”, quindi questo uomo, questo proprietario ha cercato tutti i mezzi per assicurare il buon prodotto della sua vigna. “La diede in affitto a dei contadini, e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo”, il termine greco significa il tempo
opportuno, “di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto”, letteralmente i suoi frutti. Ma ecco la sorpresa, ”ma i contadini presero i servi, e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero e un altro lo lapidarono”. Questa è la sorte dei profeti, i profeti erano chiamati i servi di Dio, c’abbiamo nel profeta Geremia al capitolo VII questa denuncia di Dio, he dice “da quando i vostri padri sono usciti dall’Egitto, fino ad oggi io vi ho inviato con assidua
premura”, ecco la premura di Dio per il suo popolo, “tutti i miei servi, i profeti”, quindi i profeti sono considerati servi del Signore, “ma non mi hanno ascoltato, né prestato orecchio, anzi hanno reso dura la loro cervice, divenendo peggiori dei loro padri”. Quindi in questa immagine di questi servi che sono bastonati, uccisi e lapidati è l’immagine degli inviati di Dio, i profeti. Perché questa reazione? Perché i profeti invitano al cambiamento, e le autorità religiose, la casta sacerdotale al potere alla quale è rivolta questa parabola, non hanno alcuna intenzione di cambiare. Loro vogliono soltanto consolidare il loro potere e il loro prestigio Ma il padrone della vigna non si stanca, “mandò di nuovo altri servi più numerosi dei primi,
ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio”. Ma quando mai, i capi religiosi esigono il rispetto per se stesso, ma non rispettano
nessuno, non rispettano né la gente, e tanto meno Dio, loro guardano soltanto il loro interesse, la loro convenienza.
“Ma i contadini”, infatti, “visto il figlio dissero”, e qui è interessante perché mentre il proprietario della vite che è la figura di Dio, dice e il suo dire è per la vita, “mandò il proprio figlio dicendo: avranno rispetto per mio figlio”, il dire dei contadini, figura dei capi religiosi è un dire per la morte. Infatti “dissero tra di loro: costui è l’erede”, quello che eredita tutto, “su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità”. L’evangelista smaschera il vero motivo della morte di Gesù. Gesù non è morto perché questa fosse la volontà di Dio, ma era la l’interesse, la convenienza della casta sacerdotale al potere, perché Gesù rischiava di mandare all’aria tutto il dominio, tutto il prestigio,
tutto l’onore che avevano sul popolo “Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero”, l’evangelista si richiama alla condanna riservata ai bestemmiatori, fuori della città ed è la stessa morte, la stessa fine che ha fatto Gesù. Ed ecco la trappola che Gesù ha creato per i suoi ascoltatori, “Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?”, ed ecco la risposta dei sommi sacerdoti e degli anziani, ripeto ai quali è rivolta la parabola, che è la sentenza che si danno su se stessi, “Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli
consegneranno i frutti a suo tempo”, emettono la propria sentenza . Per interesse hanno ucciso e non sanno che un interesse li distrugge.
E allora Gesù disse loro, “Non avete mai letto”, è molto ironico l’atteggiamento di Gesù, la domanda di Gesù. Ai sommi sacerdoti, agli anziani, costoro che conoscono naturalmente la scrittura, Gesù chiede se mai hanno letto, perché non basta leggerla, la Scrittura bisogna interpretarla e capirla, e il criterio per interpretare la scrittura è il bene dell’uomo, se non c’è questo criterio, si legge senza capire. Ecco perché Gesù dice ”non avete mai letto nelle scritture”, e cita il salmo 118 al versetto 22, “la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo”.
I costruttori tanto intelligenti, tanto sapienti, proprio la pietra che hanno scartato è quella che invece serviva per tenere su tutta la costruzione.
“questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico:”, ed ecco la sentenza di Gesù, “a voi sarà tolto il regno di Dio”. Quindi alla casta sacerdotale è tolto
tutto il potere, e “sarà dato a un popolo”, il termine greco etne da cui etnico, indica un popolo pagano, cioè cosa sta dicendo il Signore? Che quelli che erano considerati gli esclusi dalla salvezza,
saranno quelli che invece godranno i frutti che sono assenti nel popolo del Signore, “che ne produca i frutti”.
Quello che sorprende è che la liturgia, o forse neanche sorprende, abbia tolto il versetto 45, che è quello che dà la spiegazione a tutto il brano. Infatti la conclusione è “udite le sue parabole i sommi sacerdoti e i farisei”, appaiono anche i farisei, quindi indica tutta la casta sacerdotale , l’elite spirituale, “capirono che parlava di loro”, e cosa hanno fatto? Si sono pentiti, si sono convertiti?
Mai, chi detiene il potere è determinato dalla propria convenienza e non si pentirà mai e infatti “cercavano di catturarlo, ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta”. La cattura,
l’assassinio di Gesù per ora è soltanto rimandato.

SANTISSIMA TRINITA’ – 11 giugno 2017

DIO HA MANDATO IL FIGLIO SUO PERCHÉ IL MONDO SIA SALVATO PER MEZZO DI LUI

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM

Gv 3,16-18

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

È tipico di ogni religione l’immagine di un Dio che giudica e poi condanna, un Dio che premia i buoni, ma castiga i malvagi. Questa immagine di Dio è completamente assente in Gesù, addirittura Gesù smentisce l’immagine di un Dio che giudica e condanna. Sentiamo cosa ci scrive Giovanni, nel capitolo 3, ai versetti 16-18. Il contesto è quello del discorso con il fariseo Nicodemo – i farisei aspettavano il messia appunto che fosse espressione del giudizio divino – Gesù dice che no. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il figlio unigenito”, Gesù si dichiara espressione dell’amore di Dio per l’umanità – Dio esprime il suo amore dando il suo figlio – “perché chiunque crede in lui”, credere non significa dare adesione a una dottrina, ma significa dar adesione a una persona, al suo messaggio, in questo caso a Gesù, “non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Per la seconda volta, in questo capitolo, appare un tema molto caro per l’evangelista, quello della vita eterna. La vita eterna i farisei la pensavano come un premio, da ottenere nel futuro, per il buon comportamento tenuto nella vita presente; per Gesù, invece, è una condizione nel presente. Vita si chiama eterna non tanto per la durata indefinita, ma per la qualità indistruttibile. E continua Gesù: “Dio infatti non ha mandato il figlio nel mondo per”, il verbo non è giudicare (condannare), il verbo in greco adoperato dall’evangelista significa: emettere una sentenza, giudicare, quindi non è condannare, “il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Gesù è venuto a offrire un’alternativa di vita, una possibilità di crescita, di realizzazione piena della sua esistenza all’uomo. “Chi crede in lui” continua Gesù, “non è giudicato”, quindi l’immagine di un giudizio da parte di Dio, è assente nel messaggio di Gesù: non si va incontro a nessun giudizio e pertanto nessuna condanna, “ma chi non crede è già stato giudicato perché non ha creduto nel nome dell’unigenito figlio di Dio”, e qui bisogna aggiungere due versetti che, nella versione liturgica, non c’è (ci sono), altrimenti non si capisce, sembra una contraddizione. Continua Gesù dicendo che il giudizio è questo: “la luce è venuta nel mondo”, e poi conclude “chi fa il male odia la luce”, non c’è un giudizio da parte di Dio, c’è un’offerta di vita, qui raffigurata come la luce, sta all’uomo sentirsi attratto da questa luce ed entrare a far parte del cono d’amore della salvezza, ma chi fa il male, si sa, detesta la luce. Chi fa male vuole le tenebre e quindi si rintana ancora di più nelle tenebre, immagine della morte. Allora non è un giudizio da parte di Dio che respinge la persona, ma è la persona che, per il suo interesse, per la sua convenienza, il male è questo, respinge l’offerta di pienezza di vita da parte di Dio. Dio non può far altro che far brillare ancor di più la sua luce, ma più brilla la sua luce, per chi fa le tenebre questa è una minaccia, è un qualcosa che lo acceca, è qualcosa che lo detesta. Quindi l’invito dell’evangelista è a compiere quotidianamente azioni di luce per poter poi entrare in piena sintonia, in comunione con quel Dio che è luce e che è amore.

V DOMENICA DI PASQUA – 14 MAGGIO 2017

IO SONO LA VIA, LA VERITÀ E LA VITA

Commento al vangelo di p. Alberto Maggi OSM

Gv 14,1-12 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

L’annuncio, da parte di Gesù, del tradimento di Pietro, getta lo sconforto nella comunità dei discepoli, ed è solo l’anticipo di quella tempesta che si avventerà sul suo gruppo. Allora Gesù cerca di incoraggiare il suo gruppo; è così che inizia il capitolo 14 del vangelo di Giovanni. Afferma Gesù: “«Non sia turbato il vostro cuore”, appunto perché c’è stato questo annuncio, “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”, perché Gesù unisce la fede in Dio e la fede in lui? Perché Gesù verrà catturato, torturato ed assassinato in nome di Dio, come un bestemmiatore, come un nemico di Dio, e Gesù invece afferma che, tra lui e Dio, c’è la piena sintonia. Poi Gesù dà un’indicazione veramente importante, preziosa, una di quelle indicazioni che, se comprese, cambiano veramente la relazione con il Padre: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore”, cosa vuol dire Gesù con questo fatto che ci sono molte dimore? L’immensità di Dio non si può manifestare in una sola persona o in una sola comunità, ma ha bisogno di molteplici forme per fiorire attraverso forme inedite, nuove, originali, di amore, di perdono, di misericordia. Non si tratta qui di una dimora presso il Padre, Gesù non va a preparare appartamenti, ma figli di Dio, ma il Padre che viene a dimorare tra gli uomini. Infatti, più avanti, al versetto 23 dello stesso capitolo, Gesù affermerà: “se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui, e faremo dimora presso di lui”, quindi ogni individuo, ogni comunità è chiamata ad essere l’unico vero santuario, dove dimora l’amore, la misericordia del Padre. E continua Gesù: “Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto”, il termine indica il santuario, che quindi ogni persona diventa questo santuario visibile, “verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”. Gesù è nella pienezza della dimensione divina, una pienezza che non è un suo esclusivo privilegio, ma una possibilità per tutti i credenti. “E del luogo dove io vado, conoscete la via»”, qual è la via? È quella che Gesù ha indicato: l’amore che si fa servizio. E qui, a questo punto, c’è la replica di ben tre discepoli, qui nella versione liturgica ne abbiamo soltanto i primi due, il numero tre indica la totalità, quindi incomprensione da parte del gruppo. Il primo è Tommaso, che gli chiede: “«Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?»”. E qui Gesù risponde con questa affermazione importante, solenne: “«Io sono”, con “Io sono” rivendica la pienezza della condizione divina, “la via, la verità e la vita”. Gesù è la via perché lui è la verità; Gesù non dice di avere la verità, e non chiede ai discepoli di avere la verità, ma di essere la verità. Cos’è la verità in questo vangelo? La verità in questo vangelo è un dinamismo divino, che non si esprime attraverso formule, attraverso la dottrina, ma solo attraverso opere e capacità d’amore. Questa via, che porta a questo dinamismo d’amore, conduce alla vita, e qui l’evangelista adopera il termine che indica la vita indistruttibile. “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto»”, quand’è che i discepoli hanno conosciuto e veduto il Padre? Nell’episodio precedente, che è stato quello della lavanda dei piedi: Gesù, che è Dio, si è messo al servizio dei suoi, indicando e mostrando chi è Dio. Chi è Dio? Amore generoso, che si mette al servizio dei suoi. Ed ecco la replica del secondo discepolo: “gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?”, ed ecco l’altra affermazione importante: “Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”?”. Nel prologo a questo vangelo, l’evangelista aveva scritto che Dio nessuno l’aveva mai visto, soltanto il figlio ne era la rivelazione. Cosa significa questo? Che non Gesù è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù. Quindi l’evangelista invita a sospendere tutto quello che si sa, si conosce di Dio, e verificarlo, controllarlo, con quello che lui presenta di Gesù. Se coincide, si mantiene, se si distanzia, o peggio, se è differente, si elimina. Quindi in Gesù c’è l’unica possibilità di conoscere chi è Dio, e chi è questo Dio? L’abbiamo visto: amore che si fa servizio. “Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?”, ed ecco un’altra affermazione importantissima, “Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere”: nelle parole di Gesù si manifestano le opere del Padre, e la potenza creatrice del Creatore. Questo significa che ogni singola parola di Gesù, contiene in sé l’energia della stessa azione creatrice, di quel Dio che disse, e quello che disse fu, si realizzò. “Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse”, Gesù non chiede di credere in lui per una dottrina, per una teologia, ma per le opere, le opere che comunicano vita, perché la dottrina è discutibile, le azioni che comunicano vita, si vedono, si possono verificare. Le opere a favore degli uomini, sono l’unico criterio di credibilità per Gesù e i suoi discepoli. E infine un’affermazione che sorprende: “In verità, in verità io vi dico:”, questa duplice ripetizione di verità significa solennemente che quello che affermo ora è vero, “chi crede in me”, cioè chi mi dà adesione, “chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio”, quindi quest’azioni che comunicano vita, tutti le possono fare, ma addirittura, afferma Gesù: “e ne compirà di più grandi”, di Gesù, “di queste, perché io vado al Padre»”, Gesù avverte i suoi discepoli che la sua morte non sarà un’assenza, ma una presenza ancora più intensa. Il fatto che non c’è fisicamente Gesù, non sarà visto come una perdita, ma come un guadagno, e consentirà al discepolo e alla comunità, di compiere le stesse azioni di Gesù, con la stessa sua potenza.

IV DOMENICA DI PASQUA – 7 MAGGIO 2017

IO SONO LA PORTA DELLE PECORE

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM Gv 10,1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Per aver aperto gli occhi al cieco nato, Gesù è stato accusato di essere un peccatore, perché, per essi, il peccato è la trasgressione della legge divina. Bene, Gesù ribatte, affermando che sono loro, i farisei, i peccatori, perché, per Gesù, il peccato è quello che offende l’uomo, ed è ai farisei che Gesù rivolge il monito, che è contenuto nel capitolo decimo, del vangelo di Giovani, lo rivolge ai farisei del tempo, ma anche a quelli di oggi. Sentiamo cosa ci scrive l’evangelista. “In verità, in verità”, quando si usa questa espressione nel vangelo di Giovanni, significa: vi assicuro, vi dico con fermezza, “io vi dico”, quindi è rivolto il discorso ai farisei, “chi non entra nel recinto”, qui l’evangelista, per il termine recinto, ha adoperato quello che si usa non per le pecore, ma l’atrio del tempio, perché vuole far comprendere: attenzione, non si tratta di recinti e di pecore, ma si tratta di popolo ed istituzione religiosa, “nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante”. Gesù è molto chiaro, sta parlando ai farisei: siete dei ladri, perché vi siete impadroniti del popolo di Dio, Gesù era il Dio, era il vero pastore, e, soprattutto, siete dei briganti, perché avete usato la violenza per sottomettere questo popolo. Nello sfondo della denuncia di Gesù, c’è tutta l’accusa che il profeta Ezechiele, specialmente nel capitolo 34, fa ai pastori, che governano il gregge soltanto per il proprio interesse, per la propria convenienza, e non si interessano del bene e del benessere delle pecore. E continua Gesù: “Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore”, Gesù rivendica lui di essere, come Dio, il vero pastore del suo popolo, “Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce”, perché le pecore ascoltano la sua voce? Perché riconoscono, nella voce di Gesù, la risposta al bisogno, al desiderio di pienezza di vita, che ogni persona si porta dentro. “egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome”, Gesù non ha un rapporto con la folla, con la massa, con un gregge, ma Gesù c’ha un rapporto speciale con ogni individuo, con ogni pecora, “e le conduce fuori”, il verbo adoperato dall’evangelista, è quello che è stato usato nel libro dell’Esodo, per indicare la liberazione dalla schiavitù, verso la terra della libertà. “E quando ha spinto”, letteralmente cacciato fuori, “tutte le sue pecore” – già Gesù, nell’episodio dell’entrata a Gerusalemme, aveva scacciato fuori le pecore dal tempio – “E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce”: Gesù libera le pecore dal recinto dell’istituzione religiosa, ma non le richiude in un altro recinto, seppur migliore, concede loro la piena libertà. E continua Gesù: “Un estraneo invece non lo seguiranno”, questa di Gesù non è una constatazione, è un consiglio che lui dà, “ma fuggiranno via da lui”, bisogna fuggire via da questi che si presentano come pastori, ed invece, vedremo, sono soltanto dei lupi rapaci, “perché non conoscono la voce degli estranei»”, le pecore conoscono la voce di chi le ama, e non di chi le vuole sfruttare, riconoscono, nella voce dei falsi pastori, l’ansia di potere, l’ansia di dominio. “Gesù disse loro”, quindi è rivolto ai farisei, “questa similitudine”, ma ecco la sorpresa, “ma essi non capirono di che cosa parlava loro”, come fanno a non capire? Semplice, perché non sono le sue pecore, perché non sono sordi, ma sono ostinati nella loro tentazione di potere, di ambizione. “Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono”, e questa è la rivendicazione del nome di Dio, quindi la pienezza della condizione divina che si manifesta in Gesù, “io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti”, quindi Gesù ribadisce l’accusa, ai capi religiosi, di essersi impadroniti del gregge che era di Dio, Dio era il pastore, e di averlo sottomesso attraverso la violenza, “ma le pecore non li hanno ascoltati”, ecco la constatazione di Gesù: il popolo può essere stato sottomesso per paura, ma non per propria scelta. “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà”, questo entrare ed uscire significa che Gesù non richiude il gregge in un altro recinto, e la porta non viene chiusa, la chiusura della porta indica sicurezza per il gregge, però mancanza di libertà, no, seguendo Gesù, c’è la piena libertà, si entra e si esce. “e troverà”, e qui l’evangelista gioca sui termini della lingua greca, “troverà pascolo”, pascolo, nella lingua greca, si dice “nome”, mentre legge si dice “nomos”. Allora, con Gesù, non si trova una legge a cui obbedire, ma si trova pascolo, cioè un alimento che dà la vita. E la conclusione, e la conclusione, Gesù adopera per questi sedicenti pastori le stesse caratteristiche dei lupi, quindi non sono pastori, ma sono lupi, bisogna stare attenti, “Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere”, e qui c’è l’eco dell’accusa che aveva fatto già il profeta Ezechiele, qui nel capitolo 22: “i suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda versano il sangue fanno perire la gente per turpi guadagni”. Quindi Gesù identifica questi pastori come dei lupi, quindi bisogna stare attenti, bisogna fuggire, “rubare, uccidere e distruggere”, le vere vittime del culto al tempio sono le persone, “io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza»”, quindi è un invito a (di) Gesù a emanciparsi da questi pastori, che impongono, che obbligano, e (ad) accogliere il dono della pienezza di vita, che Gesù offre incondizionatamente, ad ogni persona che ascolta la sua voce.