Tutti gli articoli di redazione

III DOMENICA DI PASQUA – 30 APRILE 2017

LO RICONOBBERO NELLO SPEZZARE IL PANE

Commento al vangelo di p. Alberto Maggi OSM Lc 24,13-35

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. La morte di Gesù ha causato la dispersione, la confusione nel gruppo dei discepoli. Le donne lo vanno in cerca dove lui non sta, il Signore, nel sepolcro, e trovano due uomini che dicono alle donne: “perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Gli uomini invece, i discepoli, vanno verso la storia, verso il passato, in un luogo glorioso d’Israele, che faccia ricordare loro la grande vittoria d’Israele sui popoli pagani. Vediamo cosa ci scrive l’evangelista Luca al capitolo 24, dal versetto 13. “Ed ecco in quello stesso giorno”, il giorno della risurrezione, “due di loro”, questi loro sono gli apostoli, l’ultimo riferimento era agli apostoli, “erano in camino verso un villaggio di nome Èmmaus”, perché vanno a Èmmaus? Èmmaus è famoso nella storia d’Israele, lo(ne) troviamo le indicazioni nel primo libro dei Maccabei, al capitolo quarto, per una battaglia che Giuda il Maccabeo condusse contro i pagani, sconfiggendoli; fu una grande vittoria e, come c’è scritto in questo primo libro dei Maccabei, “e allora tutte le nazioni sapranno che c’è chi riscatta e salva Israele”. Il messia, che era stato atteso, era colui che avrebbe dovuto riscattare e salvare Israele, e invece Gesù è rimasto sconfitto, lui è stata una grande delusione. Dai vangeli sembra emergere che i discepoli sono più delusi della risurrezione di Gesù, che della sua morte, perché, se Gesù era semplicemente morto, voleva dire che si erano sbagliati. Sorgevano a quel tempo tanti pseudomessia, basta pensare (a) Giuda il Galileo, Teuda, che creavano una massa, che si rivoltava contro i Romani, e finiva sempre in una strage. Ebbene, morto un messia, se ne aspettava un altro. Ma se Gesù è risuscitato, significa che tutti i loro sogni di gloria, appunto di restaurazione, di liberazione d’Israele, di predominio sui Romani, questo si va a finire. Ma vediamo il testo. Quindi “vanno verso Èmmaus, e mentre conversano e discutono insieme, Gesù si avvicina e cammina con loro”, Gesù è il pastore che non abbandona i suoi discepoli. Ma, scrive l’evangelista, “i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”. Come mai gli occhi di questi discepoli sono impediti a riconoscerlo? È chiaro, loro guardano verso il passato, e non possono vedere il presente e il futuro, dove Gesù li conduce. “gli disse Gesù”, disse, “che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino? Si fermarono col volto triste e uno di loro di nome Clèopa”, C è l’abbreviazione di Cleópatros, che significa “del padre glorioso, del padre illustre”, che fa comprendere l’atteggiamento, il sentimento di questi discepoli, loro ricercano la gloria del loro popolo. E questo Clèopa si meraviglia dice: “ma sei solo tu? forestiero a Gerusalemme?”, e gli racconta di quello che riguarda Gesù il Nazzareno. Ecco, per loro Gesù era il Nazzareno, Nazzareno significava il rivoltoso, il rivoluzionario, è questo che loro avevamo creduto di seguire: un messia che avrebbe sconfitto i Romani. Ed ecco la delusione “con i capi sacerdoti e le nostre autorità”, è grave che questi discepoli, questi apostoli, definiscono nostre autorità quelli che hanno assassinato il loro maestro. Ed ecco la delusione di cui accennavamo prima: “noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”, ecco la grande delusione: speravano nel messia, invece è morto, e la prova che Gesù non era il messia, è che è morto, perché il messia non sarebbe potuto morire, e quindi la delusione della comunità che aveva riposto tutte le sue speranze in Gesù. Dice: è vero che alcune donne sono andate al sepolcro, “sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo”, ma, con reticenza, non affermano che loro non hanno creduto alle donne, perché le donne non sono testimoni credibili. Scrive l’evangelista: “quelle parole parvero loro come un vaneggiamento”. Ed ecco la risposta di Gesù di fronte a questa incredulità, è una risposta che si traduce in un rimprovero, “«Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava”, il verbo bisognava, letteralmente doveva, indica la volontà di Dio che il Cristo patisse queste sofferenze, “e cominciando da Mosè fino a tutti i profeti spiegò”, o meglio interpretò, “loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui”, è importante questo verbo spiegare, interpretare: è il verbo da cui viene il termine tecnico ermeneutica, che cos’è l’ermeneutica? È l’arte o la tecnica di interpretare i testi. Gesù non si limita a leggere i testi di Mosè o dei profeti, o a raccontarli, ma lui li interpreta. Cosa significa questo? Questo è un criterio valido per tutti noi oggi, (significa) che, per leggere la Scrittura, bisogna interpretarla come? Con lo stesso spirito che l’ha ispirata, e qual è questo spirito che ha ispirato la Scrittura? L’amore del creatore per tutte le sue creature: è questo l’unico criterio che consente di comprendere la Scrittura. “quando furono vicini al villaggio”, il villaggio è sempre luogo della tradizione, del passato, quindi loro ancora non comprendono, vogliono andare verso il passato, Gesù mostra di andare più lontano, loro vanno verso il vecchio e Gesù invece verso il nuovo. I discepoli insistono con Gesù “resta con noi perché si fa sera il giorno ormai al tramonto”, e Gesù, il pastore che non perde le sue pecore, rimane con loro. “quando fu a tavola con loro prese il pane”, e qui l’evangelista ci propone la scena dell’ultima cena, con gli stessi gesti le stesse azioni, “recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”, ricordiamo, per comprendere questo brano, che Luca è l’unico evangelista che, nel momento della cena, Gesù pronuncia le parole “fate questo in memoria di me”, quindi Gesù ripete la sua presenza, la sua memoria. “ed ecco che allora si aprirono loro gli occhi che lo riconobbero”, ecco nel momento che Gesù si manifesta come colui che spezza il pane, la propria vita per i suoi discepoli, loro, i discepoli, lo riconoscono. “Ma egli sparì”, qui veramente il verbo non è sparire, sparire significa scomparire; no, l’evangelista scrive “si rese invisibile”, è qualcosa di diverso, sparire significa che non c’è più, invisibile significa che c’è, ma non si vede. Perché Gesù si rende invisibile? Ce lo dice l’evangelista, alla conclusione di questo brano, “essi narravano”, poi ritornano a Gerusalemme, “ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”. Questo è il messaggio che Luca, l’evangelista, lascia per le comunità e per i credenti di tutti i tempi: Gesù è invisibile, perché si rende visibile ogni volta che la comunità spezza il pane.

II DOMENICA DI PASQUA – 23 aprile 2017

OTTO GIORNI DOPO VENNE GESÙ

Commento al vangelo di P. Alberto Maggi OSM Gv 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Quando leggiamo il vangelo, per comprendere quello che l’evangelista ci vuol trasmettere, dobbiamo sempre prendere le distanze dalle tradizioni e soprattutto dalle immagini pittoriche, con le quali gli artisti hanno inteso tramandare quest’episodio. È il caso di Tommaso, che viene presentato normalmente, nella storia, come l’incredulo, come colui che mette il dito nelle piaghe del Signore, nelle mani, e soprattutto nel costato come, per esempio, nel bellissimo quadro del Caravaggio, ma dal vangelo nulla di tutto questo, vediamo. Scrivere l’evangelista che “Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo”, Dìdimo significa “gemello”. Delle quattro volte, dei quattro momenti che appare Tommaso in questo vangelo, per ben tre, e il numero tre significa “completo”, viene presentato come il gemello, il gemello di chi? È il gemello di Gesù, perché gli assomiglia nel comportamento. In apocrifi si legge che “Tommaso è chiamato il mio idoneo secondo”, ma perché è considerato il gemello di Gesù? Quando Gesù ha annunziato ai discepoli che voleva andare in Giudea, perché Lazzaro, il suo amico, era morto, tutti i discepoli avevano paura, hanno detto a Gesù: ma vai in Giudea, cercavano di ammazzarti. Tommaso è stato l’unico che ha detto: andiamo anche noi a morire con lui. Mentre Pietro voleva morire per Gesù, e finirà poi per tradirlo, Tommaso no, Tommaso ha compreso che non c’è da dare la vita per Gesù, ma, con lui, bisogna dare la vita per gli altri. Per questo Tommaso viene presentato come il gemello, cioè colui che assomiglia di più a Gesù, e la sua importanza risalta in questo vangelo, perché, per ben sette volte, apparirà il nome suo. Quindi “chiamato Dìdimo, non era con loro”, perché non era con loro? Abbiamo letto, in questo brano, che i discepoli erano a porte chiuse, per paura di fare la stessa fine di Gesù. Ebbene Tommaso, che è il gemello di Gesù, lui non ha paura, non ha paura di morire come il suo maestro. “Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi”, è solo da Giovanni che sappiamo che, per Gesù, sono stati usati i chiodi per crocifiggerlo, “e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo»”, letteralmente “io non crederò”. Questa affermazione di Tommaso non va interpretata come una negazione assoluta della risurrezione di Gesù, ma è il desiderio di credere, è un po’ (come) quando noi, nell’italiano, quando ci annunciano una notizia bella, straordinaria, impensata, cosa diciamo noi? “no, non ci posso credere!”, non è che non ci vogliamo credere, ci sembra talmente grande, oppure quando diciamo: “non è possibile, non è vero!”, non è che neghiamo il fatto, è che è troppo bello che ci sembra impossibile. Quindi qui Tommaso non nega la possibilità, ma esprime il suo desiderio ardente di poterla sperimentare. “Otto giorni dopo”, è importante questa indicazione: l’ottavo giorno è il giorno della resurrezione di Gesù, e la comunità dei credenti ha imparato a riunirsi per la celebrazione eucaristica, “Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne”, meglio, letteralmente “viene” “Gesù”, il verbo al presente indica che, ogni volta che la comunità si riunisce, si manifesta la presenza di Gesù, “a porte chiuse, stette in mezzo”, è importante questa indicazione che l’evangelista già ha presentato, che Gesù, tutte le volte che si manifesta ai suoi, si colloca al mezzo. Gesù non si mette al di sopra, non si mette come primo, ma al centro. Cosa significa questo? Significa che tutte le altre persone attorno a lui, hanno la stessa relazione, non c’è qualcuno più vicino a Gesù e qualcuno più distante, qualcuno prima e altri dopo, ma Gesù è al centro in mezzo, e tutti gli altri attorno. “e disse”, e, per la terza volta, Gesù pronuncia “«Pace a voi!»”, non è un augurio, Gesù non dice: “la pace sia con voi”, ma è un dono. Gesù, quando si manifesta, dona sempre questa pace, cioè la pienezza della felicità, e, con essa, il dono dello Spirito, che è capace di prolungare, attraverso gli apostoli, il dono d’amore del Padre all’umanità. “Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!»”, ebbene di fronte a questo invito di Gesù, Tommaso si guarda bene di mettere il dito nelle piaghe del Signore, al contrario, “Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!»”, è la più alta professione di fede di tutti i vangeli, quindi altro che incredulo, Tommaso è il credente perfetto. Giovanni aveva presentato Gesù come colui che era la rivelazione di Dio, e Gesù, a Filippo, aveva detto: “chi ha visto me, ha visto il Padre”, e, sempre Gesù, aveva detto: “quando avrete levato il figlio dell’uomo, allora saprete che io sono”, il nome divino, ebbene Tommaso è il primo tra i discepoli a riconoscere in Gesù la pienezza della divinità, la pienezza della condizione divina, “«Mio Signore e mio Dio!»”. “Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati”, ci sono due beatitudini nel vangelo di Giovanni, strettamente legate con(tra) loro: una, quella nella cena, dopo il servizio che Gesù ha fatto della lavanda dei piedi, quando Gesù dice: “beati se le metterete in pratica”, cioè se (c’è) questo atteggiamento di servizio, e l’altra è questa che è strettamente collegata: l’atteggiamento di servizio permette di sperimentare il Cristo risorto nella propria vita, “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»”. Quelli che, nel tempo, si susseguiranno, non sono svantaggiati, ma anzi sono beati, hanno una fortuna in più. Quel messaggio che ci dà l’evangelista è che non c’è bisogno di vedere per poter credere, ma credere, dare adesione a Gesù, e si diventa un segno che gli altri possono vedere.

DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE  – 16 APRILE 2017

È RISORTO E VI PRECEDE IN GALILEA

Commento al vangelo di p. Alberto Maggi OSM Mt 28,1-10

Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno». Nessun evangelista descrive la risurrezione di Gesù. L’immagine classica tradizionale conosciuta del Cristo trionfante, che esce dalla tomba, non appartiene infatti ai vangeli, ma ad un apocrifo del II secolo, chiamato il vangelo di Pietro. Ma tutti gli evangelisti danno indicazioni su come incontrare il Cristo vivente. L’esperienza del Cristo risorto, infatti, non è stato un privilegio concesso duemila anni fa ad un piccolo gruppo di persone, ma una possibilità per i credenti di tutti i tempi. Vediamo cosa ci dice al riguardo Matteo, nel capitolo 28, il capitolo della risurrezione. “Dopo il sabato”, ecco l’evangelista inizia con una notazione: l’osservanza del precetto del sabato ha ritardato la comunità primitiva di fare esperienza del Cristo risorto. “Dopo il sabato, all’alba del primo giorno”, il primo giorno richiama il primo giorno della creazione, in Gesù si realizza la nuova definitiva creazione della settimana. Il primo giorno della settimana, è il giorno ottavo, e il numero otto, nella chiesa primitiva, sarà il numero che avrà il significato del Cristo risorto, ed è il numero infatti delle beatitudini. “Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba”, manca una donna; alla crocifissione di Gesù erano tre le donne presenti: Maria di Magdala, l’altra Maria, la madre di Giacomo e Giuseppe, ma c’era anche la madre dei figli di Zebedeo. Non c’è più, perché? Questa donna ambiziosa, che voleva la gloria, il successo per i suoi figli, quando vede che il suo messia muore definitivamente, ha perso ogni speranza, quindi non sarà testimone della risurrezione. “Ed ecco, vi fu un gran terremoto”, il terremoto, nella Bibbia, è un segno della manifestazione divina, “e un angelo del Signore”, per angelo del Signore non s’intende un angelo inviato dal Signore, ma Dio quando entra in contatto con gli uomini. In questo vangelo appare per ben tre volte: per annunciare la vita di Gesù, per proteggerla dalle mire omicide di Erode, e per confermarla(e) ora, che, quando la vita viene da Dio, è indistruttibile. “Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra”, questa pietra era stata definita una gran pietra, “e si pose a sedere”, sedere è segno di conquista, “su di essa”. A differenza delle donne, che, nel capitolo precedente, l’evangelista ci ha indicato che si erano sedute davanti alla tomba in segno di lutto, l’angelo siede sulla pietra in segno di vittoria. “Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve”, sono le stesse descrizioni della trasfigurazione di Gesù e i colori della gloria divina. “Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte”, c’è l’irruzione della pienezza di vita, ma quanti appartengono al mondo della morte, per loro non è un’esperienza di vita, ma sprofondano ancora più nella morte. L’evangelista è ironico, perché quello che pensavano che è morto, in realtà è vivo, e quelli che erano vivi, dice sono come morti, sono morti. Ma “l’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura!”, è strano questo, perché ad avere paura sono le guardie, e l’angelo invece le ignora e si rivolge alle donne, dice “«Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso”, cioè il maledetto, quello che era considerato morto per una maledizione divina, “Non è qui”. L’angelo non dice non è più qui, (ma) non è qui: il sepolcro non ha mai potuto contenere colui che era il vivente, ”È risorto, infatti”, e qui c’è un velato rimprovero, “come aveva detto”, l’aveva detto per ben tre volte, “venite, guardate il luogo dove era stato deposto”, e “Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea”, la Galilea è importante nella narrazione della resurrezione, apparirà tre volte, “là lo vedrete”, questo verbo vedere è lo stesso che è apparso nella beatitudine di: beati i puri di cuore, e non indica la vista fisica, ma una profonda esperienza interiore. Gesù risuscitato in questo vangelo, il vangelo di Matteo, non si manifesterà mai a Gerusalemme, la città assassina, la città che, fin dall’inizio, è sotto una cappa di tenebre, ma, per vedere Gesù, per sperimentarlo, occorre andare in Galilea, cioè il luogo della sua predicazione. “Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande”, nella misura che abbandonano il sepolcro, che mai ha potuto contenere il vivente, subentra una gioia grande, e “le donne corsero a dare l’annuncio”, il termine annuncio, in greco, contiene in sé la radice del vocabolo angelo. Le donne, considerate gli esseri più lontani da Dio, in realtà sono i più vicini, compiono la stessa funzione degli angeli, “l’annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco”, l’espressione indica una sorpresa, “Gesù venne loro incontro”, quando si va a comunicare vita, quando si va ad annunciare vita, c’è sempre il Signore che viene incontro, per rafforzare, con la sua presenza, l’annuncio, ”e disse”, qui la traduzione è “«Salute a voi!»”, in realtà è “rallegratevi”, perché? Al termine delle beatitudini, nell’ultima beatitudine, quella dei perseguitati, Gesù aveva detto: rallegratevi perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Eccola qual è la ricompensa: una vita indistruttibile, una vita capace di superare la morte. “Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono”, i piedi indicano un incontro reale, fisico non è uno spirito, un fantasma. Il fatto che lo adorarono (vuol dire) che riconoscono in lui la pienezza della condizione divina. “Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare”, di nuovo il ruolo degli angeli, “ai miei fratelli”, per la prima volta i discepoli vengono chiamati i fratelli di Gesù, “che vadano in Galilea”, e, di nuovo, l’invito, “là mi vedranno”. Perché in Galilea è possibile vedere Gesù? Poi vedremo in seguito che i discepoli andranno in Galiela su “il monte che Gesù aveva loro indicato”. Ma Gesù non ha indicato nessun monte. Qual è questo monte? È il monte delle beatitudini. Qual è il messaggio allora dell’evangelista? Vivendo, accogliendo le beatitudini, manifestando in pienezza la buona notizia di Gesù, c’è la possibilità di fare l’esperienza, d’ incontrare nella propria vita, colui che è il vivente.

IV QUARESIMA – 26 MARZO 2017

ANDÒ, SI LAVÒ E TORNÒ CHE CI VEDEVA

Commento al vangelo di p. Alberto Massi OSM Gv 9,1-41

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». Il capitolo 9 del vangelo di Giovanni contiene un severo atto di accusa contro la cecità di un’istituzione religiosa, per la quale il bene della dottrina è più importante del bene dell’uomo. Il contesto, Gesù esce, o meglio scappa dal tempio, dopo un tentativo di lapidazione, ma, uscendo dal tempio, incontra le persone che non possono entrare nel tempio, gli esclusi. Leggiamo il capitolo 9 di Giovanni. “…passando vide un uomo cieco dalla nascita”, la cecità non era considerata un’infermità, ma un castigo, una maledizione inviata da Dio per le colpe degli uomini. Per discolpare Dio dei mali, si accusava l’uomo. Perché esiste il male? Perché l’uomo ha commesso un peccato, e il Signore lo castiga. “…e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?»”, quindi che la cecità sia una conseguenza del peccato, era indubbio, il problema era sapere se aveva peccato già l’individuo, o i suoi genitori. Gesù esclude tassativamente alcun rapporto tra il male, il peccato e il castigo divino. Dice: non “ha peccato né lui, né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Gesù continua l’azione creatrice del Padre e, a questo individuo, dopo aver detto che lui è la luce del mondo, “fece del fango con la saliva, lo spalmò sugli occhi”, sono gli stessi gesti che ha fatto il creatore, nella creazione del primo uomo, Gesù continua la sua azione creatrice. Poi lo manda nella piscina di Siloe, questa piscina importante di Gerusalemme, che significa, sottolinea l’evangelista, l’“Inviato”, perché? Andando verso l’inviato, Gesù, che ha detto di sé: sono la luce del mondo, si recupera la vista. Infatti “Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”. Ma cominciano i problemi per questo individuo, che non viene riconosciuto, non viene riconosciuto dai vicini, alcuni dicono: è lui, non è lui, ma come fanno a non riconoscerlo? Non è che gli sono cambiati i connotati, prima non aveva la luce degli occhi, ora è tornato a vedere, ha recuperato la vista. Perché non viene riconosciuto? Perché quando si incontra Gesù, si acquista una libertà, una dignità tale che si è come prima, ma si è completamente diversi. E lui, l’ex cieco, risponde non sono io, ma “io sono!”, rivendica per sé il nome divino, il nome esclusivo che, nella Bibbia, è adoperato per Dio, e, nei vangeli, per Gesù. Perché? Come è scritto nel prologo di Giovanni, a quanti lo hanno accolto, a Gesù, ha dato la capacità di diventare i figli di Dio. Allora incomincia una serie di interrogatori, e, per la prima volta, ben sette volte sarà ripetuto, gli chiedono: ”«In che modo ti sono stati aperti gli occhi?»” È questo il tema di questo brano: aprire gli occhi era un segno della liberazione che il messia avrebbe portato de(a)ll’oppressione del popolo. C’è un cieco che ha recuperato la vista, è una cosa buona, ma il popolo non può avere un’opinione, il popolo deve essere sempre sottomesso a quello che pensa(no) le autorità religiose, sono loro che gli dicono se è bene e male, o no. Allora lo portano dai farisei, leader spirituali del popolo, quello che era stato cieco, ed ecco il problema qual era: era un sabato. Di sabato bisogna osservare quello che è considerato il comandamento più importante, c’è una serie di lavori, ben 1521 azioni che sono proibite e, tra queste, c’è fare del fango e curare gli ammalati, quindi qui c’è stata una trasgressione, una violazione del sabato. E i farisei di nuovo gli chiedono come ha recuperato la vista, e danno una sentenza: “quest’uomo”, Gesù, “non viene da Dio, perché non osserva il sabato”. Per loro venire o no da Dio, dipende dall’osservanza o meno della legge. Per Gesù venire o no da Dio, invece, dipenderà dall’atteggiamento che si ha nei confronti dell’uomo, ma, per loro, l’unico criterio di giudizio è l’osservanza della legge. Però c’è dissenso, altri gli chiedono: ma come può un peccatore compiere qualcosa del genere? Lo chiedono di nuovo al cieco, e qui c’è l’ironia dell’evangelista, i farisei ambivano al titolo di guide dei ciechi, e sono ciechi, invece quello che era stato cieco, ora ha riacquistato la vista, lui dice “è un profeta”, loro hanno detto “non viene da Dio”, lui dice è un profeta, quindi viene da Dio. Entrano in campo le massime autorità religiose, i Giudei, che in questo vangelo non indica(no) con questo termine il popolo, ma i capi religiosi, che non vogliono credere che fosse stato cieco. Per difendere la loro dottrina, negano l’evidenza: le autorità religiose, di fronte ai nuovi avvenimenti della vita, non avendo risposte da dare, si intrecciano nell’assolutismo della loro dottrina, negano l’evidenza, pur di non trovare contraddizioni nella loro dottrina, e lo intimidiscono. Intimidiscono i genitori con un interrogatorio, nel quale mettono in dubbio che sia loro figlio, che sia nato cieco, e i genitori rispondono in una maniera, che sembra codarda: noi non lo sappiamo, lui c’ha la sua età, chiedetelo a lui. Perché rispondono così? Lo dice l’evangelista: “questo dissero i suoi genitori perché avevano paura dei Giudei”, i capi religiosi, che “avevano già stabilito che se uno avesse riconosciuto Gesù come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga”. Essere espulsi dalla sinagoga non significa essere cacciati da un luogo di culto, il che non sarebbe poi un gran danno, ma significava l’esclusione dalla vita civile, dalla vita sociale. Con gli espulsi dalla sinagoga occorreva tenere una distanza di ben 2 metri, non si poteva né comprare, né vendere nulla, e quindi era la morte civile. “Di nuovo chiamarono l’uomo”, che, da miracolato, passa ad imputato, e gli dissero: “dà gloria a Dio!”, questa è una formula, un’espressione che significa riconoscere, confessa la verità, anche se viene a tuo svantaggio, a tuo scapito. E la sentenza. Mentre i farisei erano divisi tra chi diceva che era un peccatore e chi diceva ma come fa un peccatore, loro non hanno dubbi: le autorità religiose non hanno mai dubbi, per loro è tutto chiaro: “Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”, ed ecco qui entra tutta l’ironia dell’ex cieco, che risponde praticamente dicendo: sentite, io di teologia non so niente, io parlo della mia esperienza, e infatti dice “se sia un peccatore non lo so”, questo è affare vostro se sia un peccatore o meno, “una cosa so, che ero cieco e ora ci vedo”, lui parla in base alla propria esperienza, voi dite che è un peccatore, a me non interessa, la mia esperienza dice che per me questo è positivo. L’evangelista qui sta dicendo che il primato della coscienza è il più importante di qualunque dottrina, fosse pure una legge divina: il bene e il male lo decide l’uomo in base alla propria esperienza, non in base a una dottrina, che decreta quello che è bene o quello che è male. Quindi lui dice: io in campo teologico non mi ci metto, parlo della mia esperienza. E di nuovo, per la quinta volta, per ben sette volte gli chiederanno “come ti ha aperto gli occhi?”, è questa la preoccupazione delle autorità religiose, perché se il popolo apre gli occhi, per loro è finita, è la fine di tutto. E, sempre con ironia, quello che era stato cieco, chiede: “ma volete diventare discepoli anche voi?”. Quando le autorità religiose non sanno come rispondere, come ribattere, passano alla violenza, violenza verbale prima, e, se possibile, anche quella fisica, “lo insultarono”, dice tu sarai il discepolo, noi siamo i discepoli di Mosè, loro non seguono Gesù vivente, ma un morto, Mosè, “noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio”, e, poi, con un termine dispregiativo – nei vangeli i capi, i farisei non nomineranno mai Gesù, ma sempre useranno questa espressione – “questo non sappiamo di dove sia”. E qui entra il buon senso dell’ex cieco nato: il buon senso della gente è più vero e più importante dei valori della dottrina, e lui fa un ragionamento molto semplice: ma non si è mai sentito dire che un cieco nato abbia recuperato la vista, se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla. È talmente chiaro, come fanno le autorità religiose a non comprendere questo? Non sapendo come controbattere, gli replicano con violenza: “sei nato tutto nei peccati e insegni a noi”, loro non desiderano apprendere, loro sono quelli che insegnano, “e lo cacciarono fuori”. Il povero ex cieco nato dovrebbe tornare ad essere cieco, per dare loro ragione. Aver riacquistato la vista è un male, perché questa vista l’ha riacquistata attraverso un peccatore. Ma, cacciato dalla religione, non è un danno, perché trova la fede, trova Gesù che lo accoglie, lui dà adesione a Gesù, e il brano termina con una sentenza molto severa di Gesù ai farisei, che ambivano al titolo di guide dei ciechi. Gesù dice loro: “«Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane»”. Qual è la cecità? Quando si mette il bene della dottrina della legge al primo posto, prima ancora del bene degli uomini, questa è la cecità che impedisce di leggere gli avvenimenti della storia.