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II TEMPO ORDINARIO – 15 gennaio 2017

ECCO L’AGNELLO DI DIO, COLUI CHE TOGLIE IL PECCATO DEL MONDO

Commento al vangelo di p. Alberto Maggi OSM

Gv 1,29-34 In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». Nel libro dell’Esodo, la notte della liberazione dalla schiavitù egiziana per iniziare il lungo percorso, il cammino verso la terra della libertà, Mosè chiede, ad ogni famiglia, di mangiare un agnello. La carme dell’agnello avrebbe dato la forza per iniziare questo percorso di libertà, e il sangue, asperso sugli stipiti delle tende, delle porte, li avrebbe salvati dall’ angelo della morte. L’evangelista Giovanni presenta Gesù come questo agnello, l’agnello pasquale, la cui carne darà la capacità all’uomo di liberarsi dalle tenebre, per elevarsi verso la libertà, e il cui sangue assimilato lo libererà non tanto dalla morte fisica, ma dalla morte per sempre. Leggiamo come l’evangelista Giovanni ci presenta tutto questo, al capitolo primo, versetti 29-34. “Il giorno dopo”, l’ evangelista continua la sua datazione, questo il secondo giorno, perché vuole arrivare, nell’episodio delle nozze di Cana, al settimo giorno, la pienezza della creazione, con il cambio dell’alleanza, “il giorno dopo, vedendo Gesù”, è la prima volta che Gesù appare soltanto con il nome, prima nel prologo era Gesù messia, “venire verso di lui, disse: «ecco”, letteralmente guardate, quindi richiama l’attenzione dei presenti, “ecco l’agnello di Dio”, ecco l’evangelista presenta Gesù come l’agnello di Dio, colui che deve portare a compimento questa liberazione. L’agnello di Dio per Giovanni Battista è “colui che toglie il peccato del mondo”. Anzitutto l’evangelista non dice che quest’ agnello espia il peccato del mondo, e non si tratta dei peccati del mondo al plurale, che potrebbe dare la sensazione dei peccati degli uomini, ma è un peccato del mondo, un peccato che precede la venuta di Gesù. Cos’è questo peccato ? Questo peccato è il rifiuto della vita che Dio comunica, un rifiuto dovuto, a causa di false ideologie, anche religiose, che impediscono alla luce dell’amore di Dio, di arrivare verso l’uomo. Ecco il compito di quest’ agnello, e poi l’evangelista ci dirà anche come lo farà, è quello di estirpare, eliminare questo peccato, che, come una cappa di tenebre, opprime il mondo. “Egli è colui del quale ho detto: “dopo di me viene un uomo”, questo agnello, che deve liberare il mondo da questo peccato, ora viene presentato come un uomo. L’evangelista non presenta un’immagine di potenza, avrebbe potuto presentare il messia come il leone di Giuda, no come l’agnello, l’immagine della mitezza, e ora non lo presenta come una persona rivestita di cariche religiose o altro, ma un uomo. Nell’umanità di Gesù si manifesta la pienezza della divinità. “Che è davanti a me, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele»”. A quale Israele ? Tra i profeti ce n’era uno, Sofonia, che aveva riportato questa parola del Signore, questa promessa: “Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero, un resto di Israele che confiderà nel nome del Signore”. C’è stata una parte di Israele che è sempre stata fedele all’ alleanza, ed è a questa che il Signore si rivolge. “Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere”, l’articolo determinativo richiama alla totalità, alla pienezza. Lo Spirito cos’è ? Lo Spirito è energia vitale. Nel momento del battesimo, come risposta all’impegno di Gesù di manifestare visibilmente l’amore del Padre per l’umanità, il Padre gli comunica tutto quello che Lui è, tutta la sua pienezza d’amore, lo Spirito. Questo “Spirito discendere come una colomba dal cielo”, l’immagine della colomba ha un duplice significato: il richiamo al libro del Genesi, dove al momento della creazione lo Spirito aleggiava sulle acque, sul caos, quindi Gesù viene presentato come il compimento di questa creazione, ma soprattutto al proverbiale amore della colomba per il suo nido. Gesù viene presentato come il nido dello Spirito, la dimora permanente dello Spirito. Infatti dice: “come una colomba dal cielo e rimanere su di lui”. È importante questo aspetto e l’evangelista poi ci ritornerà: non basta che lo Spirito discenda su una persona. Per poter essere poi comunicato, trasmesso agli altri, bisogna che questo Spirito rimanga su questa persona, e su Gesù ci rimane. Quindi Gesù è la dimora permanente dello Spirito, cioè la manifestazione visibile di Dio, la presenza di Dio sulla terra. “Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito”, l’evangelista ci ripete quindi questa discesa, soprattutto questo rimanere dello Spirito, di nuovo con l’articolo determinativo, la totalità, la pienezza di Dio, “è lui che battezza nello Spirito Santo”. L’evangelista mette un parallelismo tra colui che toglie il peccato del mondo, come toglie questo peccato del mondo, lo dice: è colui che battezza nello Spirito Santo. Già nel prologo, l’evangelista aveva detto che la luce non combatte contro le tenebre, la luce splende nelle tenebre, e le tenebre si dileguano. E così questo peccato, che grava sull’umanità, non va combattuto, ma va eliminato, va estirpato. Come? Dice l’ evangelista “è lui che battezza nello Spirito Santo”. L’attività di Gesù sarà immergere, battezzare, impregnare, e battezzare nell’acqua significa essere immersi in un liquido esterno. Battezzare nello Spirito Santo significa una penetrazione nell’intimo dello Spirito, la forza d’amore di Dio. Qui questa volta questo Spirito viene definito Santo, non soltanto per la sua qualità eccelsa, divina, ma per la sua attività di santificare, di separare. Chi accoglie Gesù e il suo messaggio, riceve da Gesù il suo Spirito, la sua stessa capacità d’amare, che progressivamente lo allontana dalla sfera del male, quindi questa penetrazione dello Spirito di Dio nell’uomo. “E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio»”. Quello che prima era stato presentato come l’agnello di Dio, e poi come uomo, ora viene presentato come il figlio di Dio. Dal momento che in Gesù discende lo Spirito di Dio, in Gesù c’è la pienezza della condizione divina, che non sarà un privilegio che lui riterrà esclusivo, ma sarà una possibilità che comunicherà a tutti quanti lo vogliono seguire.

BATTESIMO DEL SIGNORE – 8 gennaio 2017

APPENA BATTEZZATO, GESÙ VIDE LO SPIRITO DI DIO VENIRE SU DI LUI.

COMMENTO AL VANGELO DI P. A. MAGGI OSM Mt 3,13-17

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». Nel vangelo di Matteo l’attività di Gesù si apre all’insegna del battesimo. Con il battesimo di Gesù, Gesù diventa la manifestazione visibile del Padre. Le ultime parole di Gesù saranno l’invito ai discepoli di andare a battezzare, per diventare essi stessi manifestazione visibile del Padre. Vediamo quello che ci scrive l’evangelista Matteo, al capitolo 3, versetti 13-17. Allora “Gesù dalla Galilea venne”, e qui l’evangelista adopera lo stesso verbo che ha usato per indicare l’attività di Giovanni Battista all’inizio del capitolo 3. Questo per dire che Gesù porta a compimento e realizza l’attività del Battista. “Venne al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui”: il fatto che Gesù sia andato a farsi battezzare, ha causato sempre tanti problemi, già nella chiesa primitiva. C’è in un vangelo, chiamato il vangelo degli Ebrei, addirittura Gesù stesso che protesta e dice:”che peccato ho fatto io per andarmi a fare battezzare ?”. Qui la difficoltà invece gli viene proprio da Giovanni il Battista. “Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: « Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me ?» ”. Per comprendere la reazione di Giovanni e tutto il brano, occorre comprendere il significato del battesimo, che per noi ormai ha assunto quello di un rito liturgico, di un sacramento. Il verbo battezzare non significa altro che immergere. Era un rituale ben conosciuto, che indicava la morte a quello che si era. Allora Giovanni Battista aveva invitato la popolazione ad andarsi a far battezzare, in segno di conversione, significava immergersi, lasciando morire l’uomo che era stato, per far emergere una persona completamente nuova. Era un rito che veniva adoperato per esempio per dare la libertà agli schiavi: moriva lo schiavo ed emergeva la persona nuova, libera. Quindi il battesimo dà un segno di morte. Allora qual è il significato del battesimo ? Se per il popolo significava morire a un passato ingiusto di peccato che avevano, per Gesù no, per Gesù il battesimo, quest’immersione, significherà l’accettazione nel futuro della morte, alla quale andrà incontro, per essere fedele appunto a questa missione di testimoniare l’amore del Padre. Questo il significato del battesimo di Gesù, tanto è vero che, in altri vangeli, Gesù adopererà proprio l’immagine del battesimo, per indicare la sua morte, dirà: “potete ricevere il battesimo con cui io sono battezzato ?”. Ecco allora l’impedimento da parte di Giovanni Battista. Giovanni Battista che ha predicato un messia vincitore, un messia giudice, un messia che viene a castigare. Non può immaginare, tollerare l’immagine di un messia sconfitto, di un messia che vada incontro alla morte. ”Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia»”. Questo termine giustizia nella Bibbia indica la fedeltà all’alleanza. Nel libro del Deuteronomio si legge quest’espressione: ”la giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica questi comandi, davanti al Signore nostro Dio, come ci ha comandato”. Quindi la giustizia significa essere fedeli all’alleanza, e pertanto, alla volontà di Dio. E qui l’evangelista inserisce una frase dal significato ambiguo: “Allora egli lo lasciò”. I traduttori completano questa espressione di Matteo, come questa traduzione della CEI, “Allora egli lo lasciò fare”, come se acconsentisse, ma l’evangelista non dice questo, dice : ”Allora egli lo lasciò”. Perché ? Questa espressione ritornerà poi nel capitolo quarto, quando il diavolo tenterà Gesù. Allora l’evangelista, attraverso questa indicazione, vuol dire che, già dal momento in cui Gesù entra in scena, incominciano le difficoltà e incomincia la tentazione. Qual è la tentazione ? Tutti vogliono impedire che Gesù vada incontro alla morte, perché il messia non può morire, il messia non può finire. La prova che Gesù non è stato il messia è appunto che è morto, quindi questa possiamo chiamarla la prima tentazione, una tentazione che, naturalmente, non gli viene dai nemici, ma proprio dalle persone che gli sono più vicine. “Appena battezzato”, quindi appena Gesù s’immerge nell’acqua, “Gesù”, e qui l’evangelista scrive che “uscì immediatamente”. È importante quest’espressione che adopera l’evangelista: l’acqua è il simbolo di morte, ma la morte non può trattenere colui che è pieno di vita. È tipico degli evangelisti che, ogni qualvolta accennano alla morte di Gesù, immediatamente subito danno un’immagine della sua risurrezione. Quindi appena Gesù s’immerge nell’acqua, immediatamente esce. “Ed ecco si aprirono per lui i cieli”, i cieli si credevano chiusi perché Dio ero offeso, arrabbiato con il suo popolo. Dal momento che Gesù con il battesimo accetta di manifestarne visibilmente il Suo amore, la misericordia per tutta l’umanità, i cieli, cioè Dio, si aprono: la comunicazione tra Dio e gli uomini, attraverso Gesù, sarà continua. “Ed egli vide”, è un’esperienza di Gesù, “lo Spirito di Dio”, qui l’evangelista evita di usare l’espressione ”Spirito Santo”. L’azione dello Spirito è di santificare, cioè di separare le persone dal peccato, e Gesù, quando appunto le ultime parole che pronunzierà, dirà ai suoi discepoli di andare a battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito, s’intende questo Spirito Santo che santifica le persone. Su Gesù no, su Gesù scende lo Spirito: l’articolo determinativo indica la totalità, lo Spirito è la forza, è l’energia di Dio. In Gesù c’è tutto quello che c’è di Dio, la completezza, la pienezza del Suo amore. “Discendere come una colomba”, perché l’immagine della colomba ? L’evangelista si richiama al libro del Genesi, già Matteo ha presentato Gesù come la nuova creazione, dove lo Spirito aleggia sulle acque, e, nei commenti dei rabbini, questo Spirito che aleggia sulle acque, veniva immaginato come una sorta di colomba. Gesù è il nido dello Spirito di Dio, e il nido dove questa colomba dello Spirito scende e rimane. “Ed ecco una voce dal cielo”, naturalmente voce dal cielo significa un’esperienza divina, è Dio stesso, il cielo indica Dio, “che diceva”, e qui l’evangelista, probabilmente un abile scriba, fonde insieme ben tre testi dell’antico testamento: fonde il Salmo 2, il libro del Genesi, e il profeta Isaia in tre testi importantissimi, “questo è il figlio mio”, è il salmo, che indica la consacrazione del re come messia, quindi Dio in Gesù vede il figlio, figlio non si intende soltanto colui che ha generato, ma colui che gli assomiglia nel comportamento, quindi l’evangelista sta dicendo: chi vede Gesù vede Dio, vedendo e comprendendo chi è Gesù, si capisce chi è Dio, “l’amato”, e qui il riferimento al libro del Genesi, Isacco era il figlio amato di Abramo, “in lui ho posto il mio compiacimento”, nel messia che è Gesù, che ha deciso di manifestare visibilmente la tenerezza, l’amore del Padre per tutta l’umanità, su lui c’è l’approvazione, la benedizione da parte del Signore.

MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO – 1 gennaio 2017

I PASTORI TROVARONO MARIA E GIUSEPPE E IL BAMBINO.                    DOPO OTTO GIORNI GLI FU MESSO NOME GESÙ.

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM Lc 2,16-21

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo. Il primo giorno del nuovo anno si apre con un augurio, con una buona notizia. E qual è questa notizia, quella che ci porta l’evangelista Luca ? Che quelli che la religione ritiene e considera i più lontani da Dio, in realtà, per Gesù, sono i più vicini al Signore. Sentiamo quello che ci scrive l’evangelista nel capitolo 2 del suo vangelo Luca, nei versetti 16-21. Per comprendere quello che l’evangelista ci sta dicendo, bisogna fare un passo indietro, quando i pastori, i pastori erano considerate persone impure per la loro attività, erano considerati emarginati, erano esclusi come peccatori dalla religione, perché vivevano in una maniera al di fuori della legge, non potevano certo partecipare alle funzioni del tempio o della sinagoga. Si credeva che quando il messia sarebbe arrivato, li avrebbe castigati, li avrebbe puniti. Ebbene quando l’Angelo del Signore, che è Dio stesso quando entra in contatto con gli uomini, si presenta loro, non li incenerisce nella sua ira, ma li avvolge della sua luce, cioè del suo amore. L’evangelista smentisce la dottrina tradizionale di un Dio che premia i buoni e castiga i malvagi. Quando Dio si incontra con i peccatori, non li rimprovera, non li punisce, non li castiga, ma li circonda del suo amore, questo è il fatto che precede. Allora “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. Il figlio di Dio che è stato loro annunciato, non è nato in una reggia, neanche in un tempio, ma nella loro condizione, che loro conoscono. “E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”. Che cos’era stato detto loro dall’Angelo del Signore ? L’Angelo del Signore aveva comunicato loro una grande gioia per la nascita del salvatore, quindi non l’arrivo del giustiziere, quello che premiava i buoni e castigava i malvagi, ma del salvatore, e questa buona notizia sarebbe stata per tutto il popolo. È strano che, da parte di quelli che ascoltano, non c’è nessuna reazione di gioia di fronte questa notizia, ma soltanto sconcerto. Scrive Luca: “Tutti quelli che udivano si stupirono”, cioè si sconcertano, c’è qualcosa che non quadra, perché, nella dottrina tradizionale, Dio castiga i peccatori. Come fanno a dire queste persone che sono peccatori, impure, che Dio li ha circondati, li ha avvolti del suo amore ? Quindi sono sconvolti dalle cose dette loro dai pastori. Crolla quello che la religione insegnava loro di Dio: è la novità, è lo scandalo della misericordia, che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca. “Maria, da parte sua”, quindi anche Maria si è stupita, si è sconcertata di questa novità, “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole”, esattamente esaminandole, interpretandole, il verbo adoperato dall’evangelista indica cercare il vero senso di qualcosa, “nel suo cuore”. Maria anche è sconcertata da questa novità, perché non corrisponde a quello che la religione ha sempre insegnato, ma lei non lo rifiuta, incomincia a pensarci, incomincia a rifletterci. E l’evangelista dà l’avvio alla crescita grande di Maria, che poi la porterà fino presso la croce del figlio. Maria è grande non tanto per aver dato alla luce Gesù, per esserne la madre, ma per aver avuto il coraggio di seguirlo e diventarne la discepola. “I pastori se ne tornarono”, per comprendere quello che l’evangelista ora ci dice, che è clamoroso straordinario, sensazionale, bisogna rifarsi nella cultura dell’epoca, dove in un libro, il primo libro di Enoch, si presenta Dio nell’alto dei cieli, separato dagli uomini, attorno a lui ci sono sette angeli, chiamati gli angeli del servizio. Che cosa fanno questi sette angeli privilegiati che sono i più vicini a Dio ? Hanno il privilegio di glorificare e lodare Dio in continuazione. Ebbene l’evangelista ci dice che i pastori “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio”. Quelli che la religione e la società considerava i più lontani, i più esclusi da Dio, una volta che hanno sperimentato l’amore di Dio, sono i più vicini a Dio, esattamente come i sette angeli del servizio, “per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. Ma questo piano divino incontra però la resistenza degli uomini: la novità portata da Gesù farà fatica ad essere accolta. Allora l’evangelista ci scrive che “quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione”, vanno a circoncidere Gesù. Intendono fare figlio di Abramo quello che era stato annunziato come il figlio dell’Altissimo. Quindi c’è ancora l’attaccamento alla legge, alla tradizione e farà fatica lo Spirito ad entrare, a far fiorire, ma senz’altro ce la farà. “gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo”, e poi vedremo come Gesù metterà in crisi questa coppia di genitori, perché loro si aspettano che Gesù segua le orme dei padri, invece Gesù seguirà il Padre.

NATALE – 25 dicembre 2016

IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM Gv 1,1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

La liturgia di questa domenica ci presenta il prologo al vangelo di Giovanni. Il prologo sono i primi 18 versetti del suo vangelo, nei quali l’evangelista riassume ed anticipa tutto il suo vangelo, ogni singola parola di questo prologo poi sarà sviluppata. Ebbene l’evangelista inizia correggendo la scrittura, e termina smentendo. Infatti inizia il suo vangelo scrivendo: “In principio era il Verbo”, il verbo significa la parola, è una parola creatrice, che realizza il progetto di Dio nella creazione, “era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. L’evangelista corregge l’interpretazione biblica nel libro della Genesi, il primo libro con il quale si apre la Bibbia, dove c’è scritto: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Per l’evangelista Dio, prima ancora di creare il cielo e la terra, aveva questo progetto, che ha voluto che si realizzasse. Ma non solo: usando la parola, il termine “Verbo”, cioè parola, l’evangelista contrappone alla tradizione biblica, che diceva che il mondo era stato creato in vista delle dieci parole, cioè il decalogo, no, c’è un’unica parola che si manifesterà in questo vangelo, in un unico comandamento, quello di Gesù: “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato”. Se l’evangelista inizia correggendo la scrittura, conclude il suo prologo smentendola. Infatti scrive al versetto 18, in maniera perentoria: “Dio, nessuno lo ha mai visto”. Ma come può l’evangelista affermare una cosa del genere ? Eppure nella Bibbia si legge che Mosè, Aronne e altri 70 anziani hanno visto Dio. L’evangelista non è d’accordo: hanno avuto esperienze parziali, e pertanto la legge che esprimono, che esprime Mosè, non può manifestare la pienezza della volontà di Dio. Quindi l’evangelista è lapidario: “Dio, nessuno l’ha mai visto”. “Il figlio unigenito che è Dio ed è nel seno”, nel seno significa nella piena intimità, “del Padre, è lui che lo ha rivelato”. È importante questa affermazione: per l’evangelista Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Tutto quello che noi credevamo di sapere, che c’è stato insegnato su Dio, ora va verificato con quello che vediamo in Gesù in questo vangelo. Tutto quello che corrisponde, coincide, va mantenuto, ma tutto quello che si distanzia o addirittura gli è contraddittorio, va eliminato. Quando, in questo vangelo, nel capitolo 14, uno dei discepoli, Filippo, chiederà a Gesù: “mostraci il Padre e ci basta”, Gesù risponderà: “chi ha visto me ha visto il Padre”. Quindi Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Quindi l’evangelista conclude il suo prologo con un invito a centrare tutta l’attenzione sulla figura di Gesù. Ebbene, andando a ritroso, in questo prologo, l’evangelista afferma: “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità”, un’espressione che indica l’amore generoso, l’amore fedele che si fa dono, “vennero per mezzo di Gesù”. Gesù, che è l’unica vera manifestazione di Dio, inaugura una nuova relazione con Dio: mentre Mosè, il servo di Dio, aveva imposto una legge tra dei servi e il loro signore, basata sull’obbedienza della legge, Gesù, che non è il servo di Dio, Lui è il figlio di Dio, propone un’alleanza tra dei figli e il loro padre, non più basata sull’obbedienza della legge, ma sull’accoglienza e la pratica del suo amore. E, andando sempre a ritroso in questo prologo per comprenderlo, “Dalla sua pienezza”, dalla realizzazione di questa parola in Gesù, “noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. Ecco la dinamica della vita del credente, della comunità cristiana: è un amore che alimenta amore, amore comunicato, che si trasforma poi in amore donato. E il versetto più importante, posto proprio al centro di questo prologo, è il versetto 12, dove prima l’evangelista aveva scritto: “Venne tra i suoi” questo progetto, questa realtà, “e i suoi non l’hanno accolto”, non è una polemica con un mondo dal quale la comunità cristiana si è ormai allontanata, ma è un monito di stare attenti di non commettere gli stessi errori, che, quando Dio si presenta, e si presenta sempre in forme nuove, in nome del Dio del passato non si riconosce il Dio che viene. Ma ecco il versetto più importante posto al centro: “A quanti però lo hanno accolto”, questo progetto di Dio che si manifesta in Gesù, “ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Figli di Dio non si nasce, ma lo si diventa, si diventa accogliendo Gesù nella propria esistenza, e imitandolo nel suo amore. Con Gesù, Dio non è più da cercare, ma da accogliere. Con Gesù l’uomo non vive più per Dio, ma vive di Dio, e con Lui e come Lui va verso gli altri. E al versetto 14 l’evangelista afferma, e questo progetto “si è fatto carne”, si è realizzato nella debolezza della umanità, “e venne ad abitare in noi”, non significa soltanto venne ad abitare in mezzo a noi, ma in noi. Con Gesù, Dio chiede ad ogni persona di essere accolto nella sua vita, per fondersi con Lui, dilatare la sua capacità d’amare e renderlo l’unico vero santuario nel quale s’irradia il suo amore e la sua misericordia. Mentre nell’antico santuario erano le persone che dovevano andare, e non tutti avevano l’accesso, nel nuovo santuario è questo santuario che va verso gli ultimi, che va verso gli esclusi. Il fatto che questo progetto di Dio si manifesta nella carne, nella debolezza della carne, indica che non esiste dono di Dio che non passi attraverso l’umanità: più si è umani, e più si manifesta il divino che è in noi. Allora ritornando all’inizio del prologo, abbiamo fatto un po’ un zig-zag perché è molto lungo, ma per comprenderne il significato, ecco che comprendiamo quello che l’evangelista voleva dire: fin dall’inizio c’era questo progetto, questo progetto di Dio, una parola che s’incarna, si manifesta la condizione divina, e, in questo progetto, scrive l’evangelista, “era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta”. Ecco il grande incoraggiamento che l’evangelista ci dà: bisogna accogliere questo amore di Dio e manifestarlo. Non bisogna combattere le tenebre, non bisogna sprecare energie per combattere, ma la luce si deve espandere. Nella misura che la luce si espande, ecco che le tenebre se ne vanno. Questa idea che poi girerà in tutto il vangelo, poi verrà formulata da Gesù, pochi istanti prima di essere arrestato, quando Gesù dirà: “Coraggio io ho vinto il mondo”. Coloro che si pongono a fianco della verità della luce, dell’amore, saranno sempre i vincitori sulla tenebra, sull’odio e sulla morte.