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Il Santuario del Santissimo Crocifisso

Inno all’immagine miracolosa del SS. Crocifisso di Monte Porzio

IO SENTO LA TUA VOCE

1) Io sento la tua voce e vengo a Te, Signor;
pel Sangue sparso in croce mi salvi, o Redentor.

Rit. Mi prostro innanzi aTe
Pregandoti con fè,
e Tu Signore, salvami,
pirtà, pietà di me.

2) Oh! Quanto debol sono,Tu sai divin Gesù;
insieme al tuo perdono mi dai la tua virtù.

3) In fabbrica Tu regna nel modo del lavor;
perché sia fatta degna del Nome tuo, Signor.

4) Dai campi veri e belli si levan lodi a Te;
pel mare e pei castelli si canti con gran fè.

5) Sui colli e le pianure disperi, o Dio, l’error;
tien lungi le sventure dai tuoi lavorator.

6) Monte Porzio Re ti acclama, o Cristo Redentor;
dà pace e gioia sana, prosperità e lavor.

Storia antica e recente

crocifissovecchioDa tempi antichissimi a Monte Porzio, nella pieve parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo, si venera una lignea immagine del prodigioso Crocifisso, custodito dai fedeli come un dono prezioso e rarissimo. Don Giovanni Cesari, già pievano-parroco di Monte Porzio durante il lungo e fecondo periodo che va dal 1894 a tutto il 1920, in un opuscolo scritto un secolo fa lasciò scritto, a proposito delle origini della devozione al SS. Crocifisso, quanto segue:
«La taumaturgica Immagine è da questo popolo venerata ab immemorabili, come si rileva da memorie esistenti nella Parrocchia e che rimontano a più di due secoli. Difatti, nell’inventario redatto il 29 marzo 1715 dal pievano don Benedetto Sampaoli, si dice che “il medesimo Crocifisso si riconosce per antichissimo di segnalata Veneratione, et assai miracoloso, massimamente in tempi calamitosi, come Guerra, Peste, Fame, per chiedere la Pioggia e la Serenità, portandosi processionalmente».


All’altare del Crocifisso il 21 giugno 1582 sorse la Confraternita del Santissimo Sacramento, ad istanza del conte Camillo di Montevecchio.
La devozione aumenta nell’Ottocento. Nel 1852 il parroco don Marco Gentiloni indìce un corso di Missioni, predicate da tre padri Cappuccini, al termine del quale i fedeli provvedono al restauro dell’altare laterale della Madonna della Misericordia, sul quale ancora sorgeva il SS. Crocifisso, ed alla costruzione di una nuova croce commemorativa. Sopraggiungeva frattanto l’anno 1855, gravido di sventure e di desolazioni, perché il colera infieriva un po’ dovunque, ed anche Monte Porzio ne era fortemente contaminato. Il popolo ricorre al Crocifisso e, appena iniziato il triduo, nessuno viene più colpito dal morbo. Alla grande festa di ringraziamento del 21 ottobre di quell’anno partecipa il cardinal Domenico Lucciardi vescovo di Senigallia: il Crocifisso attraversa processionalmente le vie del paese, in mezzo a canti ed a preghiere di riconoscenza.


Intanto il sogno di vedere innalzata in onore del SS.mo Crocifisso una cappella, distinta per lo stile e le decorazioni dalla navata della chiesa, cominciava a illuminarsi della dolce realtà. Si giunse fino al 1883, quando il pievano don Antonio Gradoni, affiancato dal sindaco Gioacchino Pinzani e dall’unanime aiuto della popolazione –come si legge ancora oggi nella lapide posta a sinistra della vetrata- poté innalzare l’elegante cappella in semplice stile toscano.

lapidesx

LAPIDE A SINISTRA DELLA VETRATA

QUESTA CAPPELLA N. S. GESU’ CROCIFISSO DEDICATA PER LA CURA E LE SPESE
DI ANTONIO GRADONI SAC. PIEVANO DI GIOACCHINO PINZANI
E DEI FEDELI NELL’ ANNO 1883 PER LO ZELO E LE SPESE
DI GIOVANNI CESARI SUO SUCCESSORE DEGLI ABITANTI PAESANI ED ESTERI
FU DECORATA CON PITTURE AD ACQUERELLO URANTE [L’ANNIVERSARIO] SECOLARE COSTANTINIANO
NELL’ANNO 1912

Chi è il Gioacchino Pinzani menzionato nella lapide?
Intorno alla metà del 1800 è presente a Monte Porzio una nuova famiglia, quella dei Pinzani. Di loro, come risulta dalla ricerca di A. POLVERARI, Monteporzio e Castelvecchio nella storia, alle pagine 68. 82. 94. 97. 98. 100. 101, noi conosciamo:

* Annibale Pinzani, farmacista; sindaco negli anni 1870-1873 e 1890-1902.
* Gioacchino Pinzani, sindaco negli anni 1878-1881 e 1889-1890; nel 1883 aiuta il pievano don Antonio Gradoni a costruire la Cappella del SS. Crocifisso (cf. la lapide a sinistra della vetrata).
* Ermanno Pinzani, rettore magnifico dell’Università di Pisa (a lui è dedicata “via E. Pinzani”).

Nel settembre di quello stesso anno 1883, dopo una solennissima esposizione dell’Immagine sull’altar maggiore e dopo una memorabile processione, il SS.mo Crocifisso venne collocato nel nuovo tempietto innalzato dalla pietà dei fedeli. In tale occasione l’immagine del Crocifisso, annerita dai ceri e rovinata dai secoli, venne restaurata dal bolognese Gaetano Grandi.


vetrataIl nuovo pievano Giovanni Cesari, originario di San Ginesio di Arcevia (1894-1920), ingrandisce la chiesa, la dota di un organo opera di Luigi Giudici di Pesaro (7 ottobre del 1900) e aggiunge una quarta campana; fonda il circolo San Filippo Neri, l’Oratorio festivo, il laboratorio femminile Sant’Eurosia, la Cassa operaia San Filippo Neri; dipinge la cappella del SS.mo Crocifisso aggiungendo al soffitto, a tutto senso, il capolino e indora le cornici e i tre archi; pubblica le memorie del SS.mo Crocifisso. In tutto questo fervore, promuove grandi pellegrinaggi, come quello dal 24 aprile al 2 ottobre del 1898. Dopo un corso di Missioni predicate dai PP. Passionisti, fu un ininterrotto accorrere di parrocchiani, confraternite e di popolo da paesi vicini e lontani.
Nel 1904 la cappella è arricchita dell’artistico tabernacolo offerto dalla contessa Maria di Montevecchio Flajani. L’anno successivo si organizzarono nuovi e solenni festeggiamenti che culminarono nelle grandiose giornate del 3 e 4 maggio, con intervento di mons. Vescovo Diocesano, del Cardinale Giulio Boschi Arcivescovo di Ferrara, di molti Parroci, di Confraternite e di immenso popolo. Anche in questa occasione si volle che il SS.mo Crocifisso attraversasse le vie del paese, rivestite a festa. Una simile processione si ripeté nel 1916, nel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, per impetrare da Dio il dono sospirato della pace tra i popoli.


In data 3 aprile 1921 giunge il nuovo pievano, don Carlo Tommasetti. Per poter realizzare un vasto e complesso programma di opere e di iniziative, egli attende la data memoranda del 1933 in cui si celebrava l’Anno Santo Straordinario concesso dal papa Pio XI per commemorare il XIX Centenario della Redenzione (secondo l’antichissima tradizione, Gesù morì a 33 anni). Sorse un Comitato d’onore sotto la presidenza del Vescovo di Senigallia monsignor Tito Maria Cucchi e del Podestà di Monte Porzio Alfeo Cerioli e un Comitato esecutivo sotto la presidenza del cav. Cesare Canuti.
I festeggiamenti furono preceduti da un Corso di Sante Missioni e venne indetto un pellegrinaggio a questo Santuario dal 1° aprile al 30 settembre 1934. Nella domenica 6 maggio 1934 la sacra Immagine venne incoronata con una corona d’oro massiccio, offerta dalla pietà del popolo, in una celebrazione magnifica per concorso di popolo, per intensità di fede e per gli addobbi anche esteriori di tutto il paese. Monsignor Filippo Maria Mantini, vescovo di Cagli e Pergola, compì la solenne funzione dell’incoronazione alla presenza del Vescovo Diocesano, di parte del Capitolo della Cattedrale, di Autorità, Rappresentanze, Parroci, Confraternite, Associazioni religiose e civili. Il Crocifisso venne portato in processione, dopo essere rimasto esposto all’altar maggiore, in una gloria di luci, di preghiere e di canti.


Prima che la sacra Immagine fosse di nuovo collocata nella sua nicchia, un Comitato si pose all’opera, sotto la spinta del pievano don Carlo Tommasetti –come si legge nella lapide posta a destra della vetrata- per arricchire la cappella di marmi, di pitture e della vetrata polìcroma. I lavori in marmo furono affidati alla Ditta Fratelli Tecchi di Fano e le pitture ai Fratelli Bedini di Ostra, mentre la vetrata veniva eseguita dalla Ditta Giuliani Cesare di Roma. All’inaugurazione della Cappella, avvenuta il 3 maggio 1935, era presente monsignor Oddo Bernacchia, vescovo di Termoli-Larino il quale, come è scolpito sul bordo anteriore dell’altare, consacrò la chiesa e l’altare.

E QUESTO ALTARE
CONSACRO’
ODDO BERNACCHIA VESCOVO
DI TERMOLI-LARINO
3 MAGGIO 1935

Il 5 maggio si tenne la solennissima processione con il SS.mo Crocifisso; infine, l’Immagine fu riposta sopra l’altare nella rinnovata Cappella che la fede e l’amore riconoscente di tanti figli gli avevano preparata.

lapidedxLAPIDE A DESTRA DELLA VETRATA

IL MIRABILE SIMULACRO DEL CROCIFISSO DI AUREA CORONA ORNARONODONO VOTIVO

LA CAPPELLA ADORNATACON VETRATA DIPINTI E MARMICINSERO CON BALAUSTRE

PER OPERA DI CARLO TOMMASETTI PARROCOI DEVOTI DEL MEDESIMO SIMULACRO

NELL’ANNO 1935DURANTE IL XIX CENTENARIO DELLA REDENZIONECON L’INDULGENZA DEL P.M. PIO XI

ESTESO A TUTTO IL MONDO

Ma il ritmo di quegli anni straordinari non si spense e si può dire che ogni giorno affluivano a questo Santuario tante persone in cerca di luce, di conforto, di speranza, di grazie, una gara di riconoscenza verso Gesù Crocifisso, espressa con lacrime, preghiere, doni umili e preziosi. E si rimane commossi e sbalorditi per le grazie segnalate, fra la moltitudine di quelle rimaste ignorate o segrete.

C’è ancora da segnalare come il 3 maggio dell’anno 1940, così gravido di prove e di ansie a causa della guerra, la tradizionale processione riuscì particolarmente devota e solenne, con l’ingresso ufficiale in Monte Porzio del nuovo Vescovo monsignor Umberto Ravetta (notizie fin qui tratte da: CANESTRARI Renato, Note storiche, 15 maggio 1940, in TOMMASETTI don Carlo, Santuario del SS. Crocifisso in Monteporzio (Pesaro). Note storiche, Preghiere, Grazie, Società Tipografica, Fano 1941).


Si devono ricordare altresì le feste di ringraziamento organizzate dal pievano don Gualberto Paladini, dopo la Seconda Guerra Mondiale e particolarmente la giornata del Reduce del 14 settembre 1945 e, nell’anno 1959, i festeggiamenti per il 25° anniversario dell’incoronazione del SS.mo Crocifisso, con la presenza del vescovo Umberto Ravetta e di tutto il Seminario diocesano. Inoltre, è ancora viva nella memoria la celebrazione nel 1984, sotto la guida del parroco don Irio Giuliani, delle Sante Missioni, ricorrendo il 50° anniversario della solenne incoronazione, con la presenza del vescovo diocesano monsignor Odo Fusi Pecci, il quale per primo portò processionalmente l’Immagine del SS.mo Crocifisso.


Da ultimo, nell’anno 2000 che segnò il passaggio al nuovo secolo e terzo millennio, anche noi abbiamo vissuto con solennità il Giubileo Straordinario. In tale occasione il Santuario del SS.mo Crocifisso è stato insignito dalla Penitenzieria Apostolica come luogo nel quale si poteva lucrare l’indulgenza del Grande Giubileo. La festa giubilare è stata vissuta in un Settenario che a partire dal sabato 29 aprile con la S. Messa -attraverso incontri e celebrazioni; la vestizione dei nuovi confratelli della Confraternita del SS.mo Sacramento; un Concerto della Corale “E. O. Guidi”; l’inaugurazione della Mostra dei quadri-ricordo e foto della Prima Comunione, vecchie dei primi decenni del ’900; gli anniversari della Prima Comunione; un pellegrinaggio al nostro Santuario delle Comunità Parrocchiali della Vicaria di Mondolfo e delle Comunità corinaldesi di Sant’Apollonia e Madonna del Piano e della Parrocchia limitrofa di San Michele al Fiume; una concelebrazione del Vescovo Emerito Mons. Odo Fusi Pecci con don Irio Giuliani ex-parroco insieme ai Presbiteri don Sigefrido Messina e don Osvaldo Antonietti originari di Monte Porzio; una Giornata Missionaria; la celebrazione del “Giubileo dei giovani” e del “Giubileo della terza età”- ha avuto il suo culmine nella domenica 7 maggio, con al mattino la Prima Comunione dei nostri bambini e la sera la concelebrazione presieduta dal Vescovo Diocesano mons. Giuseppe Orlandoni e una solenne processione per le vie del paese con il SS.mo Crocifisso, conclusa dal discorso del Vescovo Diocesano e dal bacio, da parte di una grandissima folla di fedeli, della bella Immagine prima che fosse riposta di nuovo della sua cappella, con le note finali del concerto della Banda Musicale “Città di Corinaldo” dirett dal M° Mauro Porfiri.


Per l’occasione, riprendendo il fascicolo del pievano don Carlo Tommasetti sopra citato, è stato dato alle stampe (a cura del pievano parroco don Luigi Gianantoni, edito da TECNOSTAMPA, Ostra Vetere 2002) il libretto dal titolo: Santuario del SS. Crocifisso in Monte Porzio. Note storiche, preghiere, grazie. Su questa straordinaria festa giubilare, mi piace ricordare il commosso commento del compianto Erino Toderi (pubblicato in Camminiamo Insieme, del dicembre 2000, n. 100):«Abbiamo vissuto un anno importante, Anno Santo vissuto intensamente anche nella nostra parrocchia, con la festività straordinaria del SS.mo Crocifisso. Il programma è stato ricco di iniziative per tutti; giovani e adulti, anziani e malati, siamo stati coinvolti, per tutti c’è stata l’occasione opportuna per il pentimento, per le promesse e i propositi di impegno. Nessuno è stato estraneo.


I vari predicatori, da don Sesto Falchetti dell’Opera don Gentili di Fano al “piccolo fratello” don Arturo Paoli, dai Padri Cappuccini al vescovo diocesano Mons. Giuseppe Orlandoni, hanno sottolineato la finalità del Giubileo che è, per ogni cristiano, il raggiungimento della santità. Come si può diventare santi? Attraverso la spontaneità, la gioia, l’innocenza dei bambini; attraverso l’esuberanza e i sogni dei giovani; attraverso le difficoltà degli adulti e le sofferenze degli anziani. Questo è il vero Giubileo, così abbiamo cercato di viverlo. I temi della Settimana: “Giubileo e perdono di Dio”, “Giubileo e giustizia”, “Giubileo e solidarietà”, “Giubileo e riconciliazione fraterna”, ci hanno messi nella condizione per riscoprire i valori del Vangelo. Nella figura della Croce, seme e lievito del Regno, riscopriamo il vero significato della vita».


Ora, in continuità con questa lunga storia, ci accingiamo a vivere un altro momento importante nella devozione del nostro popolo al SS. Crocifisso, la Festa Straordinaria per il 75° anniversario dell’incoronazione della sacra Immagine. Come preparazione, abbiamo già vissuto la Missione Parrocchiale e sono state restaurate, dalla mano esperta di Ermanno Landini, le croci e le edicole posizionate durante i passati decenni nei crocicchi e nelle strade del paese.
La nuova celebrazione possa infondere a tutta la Comunità la volontà e la forza di proseguire nella fede e nella pratica cristiana, così come l’hanno vissuta i nostri avi e padri nella fede, aprendoci ad un futuro di speranza. Il mio fervido voto è che in tutti i parrocchiani e nei numerosi pellegrini che continueranno a venire a questo Santuario rinasca e si accresca l’amore al Santissimo Crocifisso e alla sua Santa Croce, segno di risurrezione e di salvezza per l’intera umanità.

(a cura di don Luigi Gianantoni)

Nuovo splendore della Cappella del SS. Crocifisso restaurata a circa un secolo dalla sua messa in opera
santuarioNell’avvicinarsi della Festa Straordinaria per il 75° anniversario dell’incoronazione della sacra Immagine del SS.mo Crocifisso, avvenuta il 6 maggio 1934, si è felicemente compiuto -con il permesso della Soprintendenza ai beni artistici e storici delle Marche di Urbino- il lavoro di restauro della Cappella, sita a sinistra dell’altar maggiore della pieve parrocchiale di San Michele Arcangelo in Monte Porzio. La Cappella era stata abbellita nei primi anni del ’900, prima dal pievano-parroco don Giovanni Cesari (1894-1920) che aggiunse al soffitto il cupolino dipingendolo e indorò le cornici e i tre archi, e in seguito dal pievano-parroco don Carlo Tommasetti (1820-1943) il quale negli anni 1933-1935 –in occasione della grande festa giubilare che celebrava il XIX secolo della Redenzione- rivestì di marmi, di pitture e della vetrata polìcroma la cappella medesima.
Com’era ben visibile e come si esprime nel progetto preventivo, in data 28 giugno 2008, il restauratore Romeo Bigini, «la cappellina, rivestita di marmi polìcromi, fino all’altezza di m 3 appare fortemente annerita e offuscata da patine di sporco dovuto al deposito di fumo di candele, schizzi di cera ed a vecchi trattamenti eseguiti con sostanze oleose; la maggior parte delle cornici dorate risultano essere state ridipinte con colore a porporina fortemente ossidate ed annerite. La volta dipinta, maggiormente annerita, presenta anche fenomeni di esfogliazione del colore e ridipinture alterate; alcune vecchie lesioni risultano essere state risarcite con grossolane stuccature ridipinte».
Il lavoro è stato eseguito dalla Ditta Romeo e Franco Bigini di Urbino, secondo il seguente progetto:

Restauro delle superfici dipinte.
Consolidamento preliminare del colore da effettuare localmente nelle zone che presenteranno fenomeni di sollevamento della pellicola pittorica, attraverso impacchi localizzati di idrossido di bario o con leggere applicazioni di resina acrilica opportunamente diluita: la scelta del prodotto più idoneo da utilizzare sarà stabilito attraverso prove preliminari da valutare in corso d’opera.
Consolidamento degli intonaci da eseguire mediante iniezioni di emulsioni a base di calce.
Pulitura preliminare della superficie dipinta: rimozione dei depositi di polvere e fumo superficiali, operazione da eseguire a secco per mezzo di spazzolature e con l’utilizzo di gomme wischab; successiva applicazione di emulsioni solventi a base di carbonato di ammonio, per la rimozione di eventuali ridipinture e delle patine di sporco persistente; il solvente sarà applicato su veline di carta e mantenuto a contatto con la superficie dipinta il tempo necessario alla rimozione del materiale da asportare,
La stuccatura delle lacune sarà effettuata con malta costituita da intonaco finemente macinato addizionato con grassello di calce invecchiato, le integrazioni saranno livellate alla superficie originale adiacente.
Il restauro pittorico sarà eseguito con colori ad acquerello a velature sottotono nelle zone particolarmente abrase e con integrazioni nelle zone dove sarà opportuno effettuare piccole ricostruzioni; saranno comunque seguite le indicazioni impartite dal Direttore dei lavori.
Superficie dipinta mq 25 circa.

marmiRestauro delle superfici in marmo.
Pulitura preliminare dei rivestimenti in marmo dai depositi di sporco incoerente, operazione da effettuare a secco mediante spazzolature aspiratori; successiva pulitura definitiva con rimozione delle patine di sporco grasso dovuto ai depositi di fumo di candele, schizzi di cera e vecchi trattamenti a base di sostanze oleose, operazione da eseguire con l’applicazione di impacchi solventi composti da metilcellulosa ed ammonio carbonato, seguito da un accurato lavaggio con acqua deionizzata.
Ricomposizione di parti fratturate mediante incollaggi con resine epossidiche bicomponenti e microcuciture con piccole barre di acciaio inox.
Stuccatura delle piccole mancanze e delle linee di giunzione dei singoli elementi lapidei da eseguire con marmorina e/o con grassello di calce e polvere di marmo; successiva rasatura e livellatura delle stuccature alla superficie adiacente; le stuccature saranno in seguito intonate con leggere velature di colore ad acquerello.
Trattamento protettivo finale delle superfici con l’applicazione di una leggera stesura di cera microcristallina in seguto lucidata con tamponi di panno morbido.
Superficie mq 35 circa.
Realizzazione di una dettagliata documentazione fotografica da eseguire prima, durante e dopo il restauro; le riprese fotografiche saranno realizzate su negativi formato 24×36 e restituite in stampe a colore formato 13×18 e su supporto digitale.
Importo complessivo (IVA inclusa) euro 16.440,00 (sedicimilaquattrocentoquaranta).

Il progetto di restauro era partito alcuni mesi fa, dietro richiesta e generosa offerta di contributo da parte della Fam. Paolini, colpita da grave lutto per la morte di Antonietta, come atto di fede e di consolazione in memoria della carissima figlia e sorella. Per collaborare alla messa in atto dell’opera, si sono poi generosamente aggiunte alcune famiglie e altre persone interne ed esterne alla Parrocchia. Inoltre ha contribuito la Confraternita del SS. Sacramento. Un riconoscente ringraziamento va rivolto a tutti coloro che hanno partecipato al recupero di questa bella opera di devozione, di storia e di arte.
A questa Cappella hanno fatto riferimento le generazioni passate nella fede del Salvatore, con le richieste di aiuto e il rendimento di grazie. Avvicinandoci alla Sacra Immagine, sembra quasi di ascoltare i sospiri della gente, come se fossero incuneati nei marmi e negli arredi. Siamo contenti che tutto questo non sia andato disperso per l’incuria e l’indifferenza, bensì viene dalla nostra generazione lasciato alla preghiera e al godimento di quelle future.
(Il pievano/parroco don Luigi)

 

Restauro dell’immagine del
SS. Crocifisso

Carissimi parrocchiani,

nell’anno 2012-2013, dedicato all’approfondimento della fede
cristiana, ricorre anche il 1700° Anniversario Costantiniano della visione della Croce, visione avvenuta nel 312 d. C. e, insieme, dell’Editto di tolleranza di Milano, emanato dagli imperatori d’Occidente e d’Oriente Costantino e Licinio nel 31 3 d. C.

Per questa ricorrenza, dopo accurata riflessione, si è deciso
di restaurare l’immagine lignea del SS. Crocifisso.

La venerata immagine aveva subito vari ritocchi in epoche diverse e aveva perso il suo originale aspetto, come riferito a seguito di un sopralluogo da parte degli esperti del settore della Soprintendenza ai beni artistici e storici delle Marche di Urbino .

Inoltre, il legno della croce stava perdendo parti di doratura e vi era la necessità di un accurato rinforzo dei decori ornamentali, nonché di un intervento antitarlo.

Il restauro viene vissuto come un momento di grande rispetto e devozione per l’immagine del SS. Crocifisso. Per la popolazione di Monte Porzio è un simbolo veneratissimo da generazioni, alle quali ha dispensato grazie e conforto.

Il costo del restauro è affidato alle offerte di quanti vorranno partecipare a questo gesto che rimarrà nella memoria e nella storia futura.

Il vostro parroco Don Luigi Gianantoni

Nuovo splendore della chiesa

Il suo spazio liturgico per la celebrazione.
Il luogo dell’assemblea cristiana.

Con l’installazione del Fonte Battesimale e dell’Ambone o tribuna per le letture liturgiche e l’annuncio della Parola, finalmente è giunto a completamento il lavoro di ristrutturazione della nostra chiesa/pieve parrocchiale di San Michele Arcangelo. Dopo il felice restauro della cappella del SS.mo Crocifisso, erano stati compiuti i lavori di  ricostruzione dell’altar maggiore in pietra, sulla base del ritrovamento delle due colonnine e del paliotto centrale appartenenti all’antico altare, forse settecentesco. In più, si era proceduto alla ripulitura della cappella dell’Addolorata posizionamdo sulla parete destra l’Icona delle donne al sepolcro, opera di Ivan; alla levigatura, stuccatura e lucidatura completa del pavimento; alla tinteggiatura dell’edificio sacro e all’installazione dei lampadari sulle navate laterali, insieme alla rinnovata illuminazione del soffitto della navata centrale.
Ora, a completamento dello spazio celebrativo, si è giunti alla ricostruzione in pietra del fonte battesimale e dell’ambone, sullo stile dello stesso altare. Così si è creato, in modo bello e armonioso, il luogo dell’Assemblea cristiana, uno spazio vivente da abitare con una liturgia avvolgente e coinvolgente.

Celebrare in modo cristiano.

Nostro compito e impegno, attuando lo spirito del Concilio Vaticano II, è quello di imparare l’arte di celebrare in modo cristiano il “mistero della nostra fede”. Si tratta di manifestare un mistero, quello di Dio stesso, che è invisibile e totalmente altro, e che nel contempo si rivela all’umanità.
La celebrazione cristiana è propriamente epifanìa, rivelando l’immensità dell’amore di Dio e svelando il significato profondo dell’esistenza umana in tutte le sue dimensioni. Primariamente, è Dio che si è manifestato attraverso mediazioni umane: il Verbo si è fatto carne; la parola di Dio ha preso corpo in un popolo e in una storia attraverso il Figlio Unigenito, ed è diventata Scrittura, cosicché la fede in Cristo Salvatore viene recepita e trasmessa attraverso dei riti e dei simboli: l’immersione nell’acqua accompagnata dalla Parola, la frazione del Pane, la condivisione del Calice. Ma la liturgìa è anche “un’epifanìa o manifestazione della Chiesa: essa è la Chiesa in preghiera; celebrando il culto divino, la Chiesa esprime ciò che è” (Giovanni Paolo II).

Il luogo dell’assemblea ecclesiale per la celebrazione liturgica.

Il luogo in cui i cristiani si radunano per celebrare il Signore è qualificato dalla celebrazione, ma a sua volta il luogo influenza la celebrazione stessa.
«L’assemblea celebrante genera lo spazio liturgico, plasma l’architettura della chiesa, perché essa stessa è generata dalla parola di Dio. Dio, attraverso la sua Parola, costituisce un popolo in assemblea santa. Ma c’è anche un rapporto diretto tra lo spazio architettonico, la disposizione delle pietre, la collocazione degli elementi, la realizzazione degli spazi e l’edificazione della comunità cristiana, che esprime una determinata idea di Chiesa» (E. Bianchi).
Il luogo è un elemento indispensabile alla celebrazione. E’ luogo d’incontro: incontro con gli uomini, fratelli e sorelle in Gesù Cristo, e incontro con il Signore. E’ uno spazio santo che esprime l’alleanza, uno spazio orientato che indica un cammino da compiere con Cristo e dietro a lui. La chiesa, luogo del battesimo, dell’ascolto della parola e della celebrazione dell’eucaristia, è essenzialmente un “luogo pasquale”.
Quando si entra in una chiesa, spesso le prime impressioni sono sufficienti per farsi un’idea del luogo: è un luogo che dà testimonianza di un Dio vivente, oppure di un Dio superato o addirittura abbandonato? Noi non siamo mai abbastanza attenti al decoro e alla dignità dei luoghi. La chiesa è segno della Chiesa, spazio abitato dall’assemblea, spazio vivente!
«E’ necessario che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo l’immagine dell’assemblea riunita, consentire l’ordinata e organica partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno» (Ordinamento generale del Messale romano, 294).
Tutto parte dall’assemblea, fedeli e ministri. Un’assemblea “avvolgente”: è essa che qualifica lo spazio. E proprio perché è lo spazio dell’assemblea (ekklesìa), la chiesa è il luogo dell’incontro con il Signore, il luogo della preghiera, della trasmissione della parola di Dio, della celebrazione dell’eucaristia, dei sacramenti e di altri eventi pubblici o familiari, diventando così un luogo di memoria (“è là che sono stato battezzato, che mi sono sposato!”). In quanto realtà primaria, l’assemblea deve avere una percezione di se stessa quando celebra. Solo così può essere inteso come tale il “noi” della preghiera eucaristica. La parola di Dio ascoltata può suscitare una risposta dell’assemblea solamente se quasta ha coscienza di aver ricevuto collettivamente tale parola.
Ora vogliamo presentare e spiegare i molteplici spazi celebrativi della nostra pieve intitolata a San Michele Arcangelo in Monte Porzio.

Uno spazio architettonico che guarda ad Oriente.

Le basiliche e chiese cristiane, fin dall’antichità, avevano la posizione dell’àbside che guardava ad Oriente (in greco: anatolé; in latino: oriens/che sorge), poiché il sole era il segno del Messia/Cristo che sorge dall’alto e che viene. Sono significativi in tal senso alcuni testi del NT:
«Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte»
(Luca 1,78-79)
«Di nuovo Gesù disse: “Io sono la luce del mondo;
chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”»
(Giovanni 8,12).
Anche la nostra chiesa-edificio è significativamente “orientata” verso il sorgere del sole, appunto ad Oriente. In tal modo viene sottolineata la venuta del Cristo che spunta dal cielo e la sua presenza in mezzo all’Assemblea liturgica che si raduna attorno a Lui nel giorno della risurrezione.

L’àbside.

Entriamo anche noi nell’edificio incamminandoci verso Cristo Signore insieme ai fratelli e sorelle nella fede, per celebrare la gloria di Dio che dona salvezza e pace. Sullo sfondo ci appare l’àbside e, nell’alto della semicalotta o “catino”, la “croce gloriosa del Signore risorto”. L’àbside è la parte cava dell’edificio, fornita di volta a pianta semicircolare, che è posta al termine della navata maggiore. Questo spazio si trova davanti all’assemblea: è ciò che le dà un orientamento. L’àbside èvoca la gloria di Dio, davanti a noi. E’ lo spazio che manifesta l’assenza di Colui che si rende presente. E’ lo spazio celeste o escatologico che ci orienta verso il Regno a venire. La croce pasquale evoca anche la resurrezione: si pensi alle croci romaniche o dorate o a quella di San Damiano d’Assisi.

Il battistero con il fonte battesimale.

Il primo sito essenziale, che ci si presenta in fondo alla chiesa sulla destra, è lo spazio corrispondente all’assemblea liturgica che si raduna “là dove sgorga il fonte battesimale”. Il battistero inteso non solo come luogo dell’immersione battesimale, ma come primo e originario spazio sacramentale ed ecclesiale.
La sua antica singolare collocazione al di fuori o all’entrata della chiesa –ove è possibile a causa dello spazio e della struttura dell’edificio sacro- sta a sottolineare l’ingresso mediante il battesimo nella famiglia dei figli del Padre. Tutto deve concorrere a fare di questo spazio un autentico luogo di “iniziazione” e un “atrio simbolico” per chiunque entri in chiesa, affinché continui ad essere uno spazio di memoria per tutti i battezzati.
Anche la forma ottagonale del fonte battesimale esprime una dimensione misterica connessa col battesimo: la “memoria escatologica” dell’ottavo giorno, ossia la teologìa della domenica giorno del Signore e della risurrezione memoria anticipatrice del giorno eterno. A partire dai dati biblici, i Padri della Chiesa hanno dato diversi nomi alla domenica che non solo ne indicano la portata e le valenze teologiche, ma ne plasmano anche e orientano la spiritualità cristiana. I cristiani sono passati da una designazione della domenica derivata dall’ambiente giudaico (“primo giorno dopo il sabato”, “primo giorno della settimana”) a una denominazione che vuol esprimere la novità cristiana (“giorno del Signore”, “giorno domenicale/signorile”); poi, per un fine missionario, a una designazione mutuata dall’ambiente pagano (“giorno del sole”). In seguito incontriamo la dizione “giorno della risurrezione” (anastàsimos heméra) cara ai Padri greci, che indica non soltanto il giorno di Pasqua ma ogni domenica.
Infine viene la denominazione di “ottavo giorno”, dovuta probabilmente all’espressione giovannea “otto giorni dopo” (Gv 20,26) e, comunque, connessa al fatto che la domenica seguiva il settimo giorno ebraico che festeggiava il compimento della creazione. «La forza di questa “strana” espressione sta nel voler indicare una novità e un’ulteriorità rispetto al ciclo settimanale: poiché la cifra “otto” indica la pienezza che trascende il tempo e lo spazio, l’ottavo giorno è la denominazione che fa della domenica la figura del mondo futuro, la figura dell’eternità… Secondo Origene (183-254 d. C.), l’ottavo giorno è “il simbolo del mondo futuro, perché nasconde il dinamismo della risurrezione”. L’evento pasquale è un fatto aperto al futuro e dinamico, ordinato alla venuta del Cristo nella gloria alla fine dei tempi, è profezia del Regno, è caparra della resurrezione dei morti nell’ultimo giorno» (E. Bianchi).
In tal modo, la forma ottagonale del fonte battesimale esprime la novità ultima e definitiva della vita senza tempo che l’uomo riceve in Cristo nel battesimo, appunto la vita eterna. E, secondo la Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento, sono beati coloro che in questo grembo “nascono da acqua e Spirito” (Gv 3,5), “con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo” (Tt 3,5-7), “con il lavacro dell’acqua mediante la Parola” (Ef 5,26; cf. Rm 6,4; Ap 22,1-2.14; Es 14,22; Ez 36,25-28; Zac 12,10a; 13,1).
Tale simbolismo biblico-teologico viene espresso dalla splendida catechesi cristiana impartita nel II secolo d. C. e riassunta nella frase della Lettera di Barnaba (11,8) che è stata incisa sul davanzale prospiciente la vasca battesimale del nostro nuovo fonte:
«BEATI COLORO CHE SPERANDO NELLA CROCE DISCESERO NELL’ACQUA DEL BATTESIMO».

Il coro dell’assemblea.

Il coro, composto dal presbiterio e dallo “spazio di gloria” situato sullo sfondo, comprende tre siti o poli essenziali, secondo la tradizione della Chiesa: l’altare, l’ambone e la sede di colui che presiede. Sono i tre punti verso i quali convergono gli sguardi dell’assemblea poiché manifestano la presenza del Cristo.

1) L’ALTARE, LUOGO DELL’EUCARISTIA

L’altare, posto al centro, è simbolo della mensa del Signore attorno alla quale è riunita tutta l’assemblea. Esso non è un semplice arredo e neppure una mensola a “supporto di fiori, candelieri e oggetti ingombranti che nulla hanno a che farre con la liturgia eucaristica; gli stessi candelieri possono essere opportunamente collocati a fianco di esso (Ordinamento generale del Messale romano 305).
L’altare è il luogo della celebrazione del dono vitale di Cristo nell’ultima cena e il segno permanente del Cristo sacerdote e vittima; è mensa del sacrificio e del convito pasquale. Esso viene baciato dai presbiteri così come il libro del Vangelo. Il materiale marmoreo con base e ornamento di pietra rimanda all’esaltazione e trasformazione  della materia in forza dell’incarnazione del Verbo di Dio.

2) L’AMBONE, LUOGO DELLA PROCLAMAZIONE DELLA PAROLA

Un ambone in armonia con l’altare, e sufficientemente monumentale da essere un polo liturgico, può manifestare pienamente Gesù Cristo, Verbo di Dio, che si offre a noi per l’alleanza eterna e che ci interpella per suscitare la nostra risposta. Su di esso viene deposto il libro delle Sacre Scritture: davanti all’assemblea santa che vuole essere tale, deve esserci la Parola che il Signore le rivolge. E’ questa autorevole parola di salvezza che crea una relazione tra le persone le quali non si sono scelte, ma si riconoscono come debitrici dell’unica alleanza.
La Parola proclamata chiede l’ascolto: Shema‘ Israel, Ascolta Israele (Dt 6,4). Davanti a noi non abbiamo solo un testo scritto, ma piuttosto qualcuno che parla (Mosè, un Profeta, Gesù, Paolo… e giù giù fino a colui che oggi proclama la Parola). Per noi cristiani, è il Cristo, il Verbo fatto carne che parla all’Assemblea. L’ascolto religioso ha mantenuto “viva” la rivelazione biblica, impedendo che diventasse fossile venerabile da tenere in museo, ma senza conseguenze per la vita quotidiana. I testi biblici, grazie alla comunità (Sinagoga o Chiesa) si mantengono “vivi” e fanno risuonare tali voci ed esperienze di vita per ogni generazione.
Il Concilio Vaticano II (Dei Verbum 21) afferma che il cristiano si nutre «del pane della vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo». Nel quarto Vangelo Gesù annuncia non solo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna» (Gv 6,54), ma anche: «Chi ascolta la mia parola … ha la vita eterna» (Gv 5,24). Nutrendosi di quel pezzo di pane corpo di Cristo ci si nutre, al tempo stesso, di quella parola del Signore; quel frammento di Pane prende il sapore di quel frammento di Vangelo. Non ci si può nutrire del corpo eucaristico del Signore se non dopo aver ascoltato, accettato e fatto obbedienza alla sua parola.
Per questo, sul prospetto dell’ambone, ora ricostruito in armonia con l’altare, sono stati posti dei simboli richiamanti la Parola che dall’ambone viene proclamata:
– sul frontespizio è scolpita la frase: «LAMPADA PER I MIEI PASSI E’ LA TUA PAROLA, LUCE SUL MIO CAMMINO»,
– mentre sul pilastro cui s’appoggia l’ambone è posta in rilievo una spada in bronzo che sembra penetrare nella pietra, con la prima e ultima lettera dell’alfabeto greco A e W (Alfa e Omega), a significare che Cristo è il Primo e l’Ultimo, l’inizio e il fine delle creazione e della storia.
Il significato di tali simboli è magnificamente spiegato dal biblista Gianfranco Ravasi, nella presentazione della nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme:
«Una lampada su un sentiero buio; la pioggia che scende dal cielo su un terreno arido e stepposo; una spada che penetra nella carne: è con questi tre simboli che la parola di Dio si autodefinisce nella Bibbia. Il Salmo 119 vede l’esistenza dell’uomo come una strada avvolta nelle tenebre. Ecco, però una luce che sfavilla:
«Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Salmo 119,105).
Il profeta anonimo chiamato Secondo-Isaia, cantore della liberazione di Israele dalla schiavitù “lungo i fiumi di Babilonia”, concludendo il suo libretto di oracoli disegna il panorama della Terra Santa: una distesa arida e screpolata… Ma a primavera e in autunno, su questo scenario di fuoco e di caldo si stende il velo della pioggia e la terra è percorsa da un brivido di vita. Così è la storia di un popolo morto, fecondato dalla parola divina:
«Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Isaia 55,10-11).
Quella solenne e raffinata omelia della Chiesa delle origini che è la Lettera agli Ebrei vede ramificarsi all’interno del popolo di Dio la stessa pericolosa tentazione che aveva colpito Israele nel deserto sinaitico, la tentazione dello scoraggiamento, dell’inerzia, della nostalgia. Ecco allora la provocazione violenta di una spada che penetra e sconvolge:
“La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio;
essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla,
e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebrei 4,12).
“Prendete … la spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Efesini 6,17).
“Vidi uno simile a un Figlio d’uomo …
e dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio” (Apocalisse 1,13.16).
La parola di Dio che viene proclamata davanti all’assemblea deve, quindi, trasformarsi in lampada splendente, in acqua viva, in spada penetrante».

L’ambone della nostra pieve, collocato “dentro” l’assemblea in costante rapporto diretto con i fedeli, è “luogo liturgico” della Parola. Nell’architettura ambonica si trova sottolineata la dimensione della Parola nell’annuncio pasquale, richiamando la tomba vuota quale “monumento della risurrezione” da cui il Cristo risorto parla agli uomini attraverso i Vangeli. Esso, «in quanto simbolo, è presenza efficace dell’annuncio pasquale all’universo mondo» (Crispino Valenziano).

3) LA SEDE DEL PRESIDENTE.

Anche il vescovo o il presbitero che presiede la celebrazione liturgica rappresenta il Cristo, di cui non può prendere né occupare il posto. La sede designa il presidente non come capo bensì come parte integrante dell’assemblea cristiana. Ciò implica che egli non stia in permanenza in posizione frontale, ma che insieme all’assemblea si volga regolarmente verso “Colui che è, che era e che viene”, in modo da consentire la guida della preghiera, il dialogo e l’animazione. Si tratta di rendere chiaramente visibile la presidenza come icona del Cristo servo, guida e maestro, non cessando di essere un fratello che cammina con tutti gli altri e che è chiamato a precederli sull’esempio di Gesù.

Gli altri luoghi periferici.

Vi sono ancora altri spazi ecclesiali: per la confessione e il sacramento della riconciliazione; per la preghiera davanti al Santissimo Sacramento; per la venerazione della Vergine Maria madre di Gesù il Cristo o per la memoria di un santo…
Questi luoghi ovviamente non entrano in concorrenza con il luogo dell’assemblea, ma al contrario la prolungano e ad esso conducono.

Uno spazio vivente da abitare.

Perché lo spazio liturgico sia abitato bisogna che questi luoghi siano utilizzati potendo circolare dall’uno all’altro. Venire all’assemblea della domenica, prendendosi la briga di spostarsi, è già un atto di fede. Entrare in una chiesa, spostarsi da un punto all’altro o lasciarsi spostare simbolicamente da quelli che fanno la processione, è già una liturgìa. “La liturgìa è un cammino come quello dei due viandanti di Emmaus. Essi passano dal “non-conoscere al riconoscere”. Ecco il cammino che ci fa fare la liturgìa: lo “spostamento”, la “conversione del cuore” che essa realizza. Ogni gesto acquista una potenza simbolica che lo oltrepassa. L’utilizzo dello spazio fa delle nostre liturgìe un cammino con Cristo e permette ai nostri luoghi di assemblea di essere segni viventi della Chiesa del Risorto.
In conclusione, l’insieme dell’aula assembleare della nostra pur piccola pieve parrocchiale esprime il mistero cristiano vissuto dai battezzati in Cristo Gesù e celebrato da «un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», come afferma il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium  3), riprendendo un’espressione dei Padri della Chiesa, quali Cipriano, Agostino e Giovanni Damasceno. Ogni battezzato che entri in chiesa per partecipare alla celebrazione liturgica nel Giorno del Signore (“Dies Domini”, “Dies Dominica”) non si fermi alla porta di entrata e uscita bensì, procedendo in avanti, passi a fianco del fonte battesimale facendo memoria della propria rinascita cristiana e, con tutta l’Assemblea, si ponga di fronte all’ambone per l’ascolto della Parola e attorno all’altare per la celebrazione eucaristica; infine, giunga alla cappella del Santissimo Crocifisso quale luogo della preghiera personale e contemplativa, che prolunga nella settimana la comunione al sacramento del Corpo e Sangue di Cristo.
Ora esca pure dal luogo in cui si raduna l’Assemblea liturgica, per immergersi di nuovo nel mondo degli uomini e della storia.

La Via Crucis

Il “sacro” oggi e la Via crucis … via lucis,

di padre Costantino Ruggeri


Un commento del critico d’arte Mauro Corradini

1. I secoli della pittura italiana sono segnati dalla vicenda biblica. Come individuale interpretazione di un messaggio o come committenza, il racconto evangelico ha costituito un sostrato non eliminabile nella nostra storia artistica (non è così, per esempio, in campo letterario, dove l’esperienza espressiva viene trasformata dalla cultura laica che comincia ad apparire già dalle origini della nostra lingua). La persistenza del messaggio evangelico nell’arte, pittura e scultura, deriva dalla forza dell’immagine: nessuna parola potrà mai quanto può, per immediatezza e tensione interiore, l’iconografia. E i mille anni della nostra straordinaria storia culturale, che chiese e conventi conservano e tramandano, sono pieni di immagini che parlavano e sovente sostituivano le parole del predicatore e ne accompagnavano l’ènfasi; e le figure rappresentate a volte annunciavano gloria per i fedeli, a volte atterrivano aprendo squarci infernali. Tra speranza e paure si consumavano dunque i vissuti e le aspirazioni degli uomini, e l’iconografia non faceva altro che ribadire questa precarietà umana.
La diretta relazione tra immagine e narrazione rendeva indispensabile l’universo delle forme; e in una storia culturale che vive sulla separazione tra la lingua dei dotti (il latino) e quella del popolo (il volgare), l’immagine ha assunto un peso rilevante; è stata la lingua comprensibile, la parola per tutti. Da qui l’aderenza al racconto, ma da qui anche il passaggio all’uso di simboli riconosciuti e riconoscibili: al punto che basta una Croce per raffigurare un’intera idea, un messaggio che ognuno legge e avverte all’interno del complesso mondo della nostra religione. E’ assai probabile che la storia stessa dell’arte italiana si comprenda soprattutto alla luce della vicenda religiosa. La nostra storia artistica vive dunque, a lungo, sul rapporto tra narrazione e trascrizione del narrato attraverso forme: è la mano di Cristo che ferma l’attenzione degli Apostoli con la benedizione del pane; è il segno di Mosè che percuote la roccia perché esca l’acqua. L’arte si è posta al servizio del racconto, per rendere esplicito un evento ed esprimerne il messaggio.
Tutta la sequenza delle Viae Crucis che ornano le pareti delle mille e mille chiese del nostro Paese non sono altro che una sequenza narrativa che prende forma, rispettando i passi che la Passione del periodo pasquale ripercorre in mille forme diverse attraverso le azioni e i gesti della liturgia.

2. Qualcosa di diverso è accaduto nell’arte contemporanea. Nel giro di boa tra il XIX e il XX secolo l’arte ha cercato nuove forme e nuove vie; ha tentato, come avveniva con le ricerche del dottor Freud, la via interiore; ha rivolto gli occhi non più alla bellezza del Creato, ma a quel crogiolo (abisso, per alcuni) di contraddizioni e tensioni rappresentato dalla nostra psiche, dall’incontro tra pulsioni e freni che la ragione e la cultura pongono a noi tutti.
L’arte non può più aggrapparsi alla ferma certezza del racconto, con le sue regole, i suoi simboli, le sue procedure; è entrata anch’essa in un periglioso cammino, dove vengono meno le certezze e la relazione tra forma/figura/segno e raffigurazione. Annotava in una pagina di Diario, oltre mezzo secolo fa, Renato Guttuso che nella storia recente si incontrano Nature morte più drammatiche di tante Crocifissioni, fermate sul limitare della narrazione superficiale e senz’anima. Per la stessa ragione, si è instaurato di necessità un contrasto, difficile da sciogliere, tra liturgìa (con i suoi obblighi e le sue parole necessitate) e forme (con i differenti ma non meno impegnativi obblighi strutturali).
E’ stato difficile, ma non impossibile, essere a un tempo moderni e profondamente aderenti alla parola evangelica. Si è cercato a volte nel segno primitivo, a volte nel vigore espressionista, la formula che consentisse all’arte di rimanere fedele ai cammini tracciati dalla sua peculiare ricerca e, nel contempo, adempiere a quello che Paolo VI ha indicato, quaranta anni fa, come còmpito privilegiato dell’arte: esprimere il cuore, il sentimento, la ricchezza e la bellezza del sentire religioso. Perché questo, dal punto di vista della Chiesa, è il cammino dell’arte: mantenere intatto il valore esemplare del messaggio e contemporaneamente non tradire quelle ricerche che hanno reso l’arte del secolo appena chiuso uno degli episodi più ricchi dell’intera vicenda artistica.
Compito difficile, che sovente ha perduto sé stesso in formule vuote, superficialmente narrative ma senz’anima, oppure, in forme opposte, ha perduto il messaggio liturgico, poiché l’artista si sentiva trascinato dall’enormità delle inquietudini interiori: tra il silenzio e la parola vuota, l’arte di carattere sacro del nostro secolo ha dovuto muoversi tra due versanti ugualmente devianti, almeno rispetto al compito che la Chiesa chiede.

1.E’ assai probabile, conoscendone la cultura e la lunga vicenda interiore, che padre Costantino Ruggeri avesse in mente tutto questo e altro ancora, quando ha voluto realizzare la sua Via Crucis in 15 stazioni per la chiesola di Santa Maria Assunta in Monte Porzio, l’antica “chiesa dei signori conti” che affianca il Palazzo Pubblico (un tempo Municipio) del Comune marchigiano.
Anche a Costantino Ruggeri probabilmente sono venuti i dubbi di fermarsi sulla soglia di una narrazione; o al contrario di perdersi in un percorso che ha, nel suo caso, mille contatti con la natura spirituale della nostra vita, ma avrebbe potuto non chiudere l’evento evangelico nel percorso di Passione, che prende l’avvìo nell’Orto del Getsemani e si conclude con la gloria della Resurrezione: questa è la vicenda. Narrarla sarebbe inutile ed offensivo, dal momento che tutti la conosciamo attraverso le mille parole che nelle chiese abbiamo ascoltato. Ricordare Pilato o Caifa, la flagellazione o la salita al Calvario, fino al dialogo con il ladrone e la promessa del paradiso imminente, può sembrare quasi ozioso in chi vive un contesto, culturale prima ancora che religioso, come il nostro.
Ruggeri assume su di sé la forza e il segno della cultura espressionista. Chi conosce la sua opera, la sua lunga esperienza pittorica che affonda negli anni del secondo dopoguerra, sa bene che tutta la sua pittura si snoda sui percorsi espressionisti. Sono quelli che consentono al pittore di meglio indagare i messaggi emotivi che coincidono, in lui, con quelli della fede. E’ tuttavia consapevole che nell’economia del racconto, nella comunicabilità degli episodi, sarebbe fuorviante utilizzare colori non mimetici, o con modificazioni mimetiche che non consentono al fedele di identificare i protagonisti della storia. Anche per questo la figura del Cristo si adegua a una tradizione che, in una terra appenninica a cavallo tra Umbria e Marche, forse risale alla vicenda terrena di santo Francesco, nel cui ordine minorile padre Costantino ha scelto di vivere il proprio incontro con Cristo. E’ un Cristo riconoscibile secondo le logiche di una iconografia consueta, quello di Ruggeri.
Allora l’accelerazione espressionista si compie per segno: un contorno netto, a squadrare figure e forme, pervade l’intera vicenda e le 15 stazioni. Tutto appare come costruito con la pietra, con la medesima durezza di una vicenda che nella nostra cultura costituisce l’esempio universale del dolore; e solo alla fine, nella 15^ tela, il dolore sembra sciogliersi nei rosa leggeri della Resurrezione, nella gioia dell’ascesa al Padre. La scelta segnica si lega alla vicenda poetica del pittore bresciano; e suggerisce anche una sintesi narrativa che rafforza le ragioni emotive: volendo proprio esaltare l’individuale, intuitivo prima ancora che conoscitivo, incontro del fedele con la passione di Cristo, Ruggeri elimina le forme dettagliate del racconto e si apre alla estrema rarefazione delle figure. Tutto è racchiuso in una sintesi che consente di entrare dolorosamente, ma con speranza, in quel cammino di dolore che porta alla redenzione: ed è una lettura che va segnalata al merito di un pittore che ha voluto confrontarsi con la contemporaneità, senza rinunciare né ai moti della fede né a quelli, ugualmente spirituali, del percorso artistico.

 

Chiesola di Santa Maria Assunta e le quindici stazioni della Via crucis … via lucis, dipinte da padre Costantino Ruggeri

Un commento artistico-spirituale di Stefano Troiani

viacrucis1La Via crucis…via lucis della chiesola di Santa Maria Assunta di Monte Porzio, opera pittorica dell’artista francescano padre Costantino Ruggeri, costituisce un racconto figurato di alta e intensa ispirazione artistica, ma soprattutto di profonda e sofferta pietà religiosa.

Le immagini che raccontano i tempi e le vicende della passione e morte sulla croce di Gesù, Figlio di Dio, nascono non tanto dalla conoscenza storica della tragica vicenda, peraltro solida e interamente collocata in un orizzonte di pura e lucidissima spiritualità, quanto sono ispirate da una estatica illuminazione interiore. Esse traducono una devozione che raccoglie e disegna, insieme e fortemente, la fede come memoria e intelligenza d’un evento drammatico e indicibile, che tocca cielo e terra, tempo ed eterno, che rammaglia ed esprime quel sentimento che investe la vita più nascosta e profonda dell’artista: da questa regione più nascosta della vita interiore, risale la composizione iconica. E’ una pittura capace di cogliere, nonché di esprimere in modo efficace e comprensibile, i sensi del mistero di dolore, di morte, di resurrezione con i risvolti di quell’amore supremo che è donazione della vita da parte del Figlio di Dio fatto uomo. E’ una immolazione questa che muta le profondità di un modo di essere del mondo e dell’uomo; e la figurazione rende visibile questa realtà, in quel richiamo costante alla silenziosa meditazione che s’affaccia sull’orizzonte luminoso della glorificazione del Cristo risorto e del sommovimento cosmico che annuncia una trasfigurazione di quanto esiste.

Le immagini sviluppano come una sequenza, capace di ricomporre la verità della tragica vicenda con una carica d’ispirazione e di commozione tanto comprese del dramma rievocato, da riportare quasi nell’interezza la potenza espressiva del racconto evangelico. La crudezza della storia nella raffigurazione si addolcisce per la tenerezza delle forme e l’armonia della colorazione. La sequenza si esprime con lo spirito della pietà e della contemplazione del grande lirismo religioso di Jacopone da Todi. L’artista vuole restituire alla memoria, ma prima al puro sguardo, la figura di Gesù come storia che riguarda ogni spirito e intende riportare la sua immagine al presente, per far rivivere l’evento ed eccitare il sentimento di partecipazione e di compianto.
Tutto il tessuto ricompositivo del racconto evangelico e della tradizione cristiana procede attraverso immagini visive semplici e ingenue, almeno apparentemente; però di fatto quel semplicismo e quella ingenuità ricostruiscono il dramma più inquietante di tutta la storia con grande forza espressiva nei segni e nella intensa rappresentazione pittorica. Queste immagini si allineano con una impostazione scarna ed essenziale dei fatti, scevra di ogni particolare eccitazione di scena, per raccogliersi in spazi di pura spiritualità, quasi al limite della fisicità.

viacucisIl racconto colloca la memoria Jesu, ricomposta in una superiore trasfigurazione, al centro di ogni composizione proposta in un alone di mistero e in una dimensione tutta religiosa che invita alla meditazione e alla partecipazione sacrificale. La figura del Christus patiens è sempre rappresentata, nella sequenza delle immagini, con assoluta divina dignità. Il colore è costantemente tenuto nel minimo delle variazioni e non consente distrazioni. L’immagine, nella sua semplicità descrittiva, invita a concentrare il pensiero e il sentimento unicamente su lo svolgimento del mistero. Il racconto storico, nella sua doppia referenza umana e divina, disloca i personaggi in modo tale che il Cristo si collochi nel punto emergente lo spazio, richiamando di volta in volta la forza di ispirazione su l’oscurità del singolo episodio drammatico, aprendo la meditatio mortis sul conflitto tra l’assoluto amore di Dio e il peccato dell’uomo: e così diviene anche “meditazione teologica” della storia.

In questa pittura del Ruggeri il racconto della passione e della crocifissione di Gesù, compiendosi infine nel lampo della resurrezione, trova la forma più vicina -dopo la musica e la poesia- alla comprensione del suo significato soprannaturale e piega il cuore all’invocazione. In tutto questo percorso figurativo lo scandalo della kénosi, svuotamento e annientamento che è incarnazione, passione, morte, discesa agli ìnferi e resurrezione, si ricompone come poema visivo dove la figura del Cristo, Signore della storia umana e cosmica, si configura nella pienezza della vita e della gloria. Così tutta la storia, tempo e spazio, pensiero e amore, dolore e gioia, morte e vita, si annoda e si illumina nella dimensione del Cristo risorto.

L’artista, forte del senso spirituale che gli deriva dall’essere figlio di san Francesco, intende elevare lo sguardo del cristiano, ma anche dell’uomo come tale, di fronte al Cristo come appello alla fede e alla speranza. Padre Costantino ha raffigurato la storia della passione di Gesù in un racconto visivo che riesce a commuovere il sentimento non solo religioso. E’ un racconto che ha i toni e l’andamento della storia evangelica nella sua semplicità narrativa, nella partecipazione all’umana-divina sofferenza, nel calore commosso della pietà: negli sfondi densi il martirio di Gesù s’avvera avvolto in una luce che rimanda al mistero.

La facciata e il campanile

La facciata

esternoNon conosciamo l’anno di fondazione del primitivo edificio religioso, ma si può ipotizzare che sia già stato parte del primo complesso urbanistico del sec.XV, dopo che la famiglia di Montevecchio prese dimora pressoché stabile nella zona. La piccola Chiesa viene rappresentata in una pianta del Castello di Monteporzio non meglio datata che dall’indicazione piuttosto vaga “Castello di Monte Porzio dal 1660 al 1780″. Per ciò che riguarda l’Oratorio è comunque certo trattarsi di una raffigurazione precedente l’anno 1743, anno in cui la costruzione subì un notevole intervento di restauro, che ne mutò in parte l’aspetto. Infatti nell’antica veduta l’edificio si presenta realizzato con mattoncini a vista e con la facciata munita di una coppia di piccole finestre e un rosone centrale: l’intervento settecentesco si può oggi facilmente riconoscere nell’apertura dell’ampio finestrone al di sopra (vedi le alterne vicende della famiglia Montevecchio sull’investitura a Monteporzio e Castelvecchio nella storia”, Alberto Polverari) dell’ingresso e nell’aggiunta del cornicione aggettante che, innestandosi alla base degli spioventi del tetto, traduce l’originario disegno a capanna in una classica facciata con un frontone triangolare a timpano. Certo che il disegno semplice uniforme e piatto di questa facciata ingentilita soltanto dalle due esigue lesene terminali,si presenta umiliata e monotona avendo alla sua sinistra il Palazzo dell’ex Municipio con la sua suntuosa architettura barocca, il suo corpo, centrale bombato sullo sfondo, delle parti laterali e dominante con le sue forti paraste doppiate con capitelli dorici sostenenti un grand’arco semicircolare e al di sopra una classica cella campanaria con pilastrini decorativi e cornicione a trabeazione attica.
Anche le due epigrafi poste sulle due facciate hanno un’incorniciatura diversissima; una semplice inquadratura quella della Chiesa, una bordatura con modanature ad alto rilievo quella del palazzo con il fastoso stemma dei Montevecchi finemente scolpito e dicitura sotto la quale tende quasi riproducente il sigillo di pergamena con medaglione e i simbolici 5 monti abbinati dell’antica dinastia:

POMPEJUS FEDERICUS RAINALDUS
COMITES EX (CEPTORES) MONTIS VETERIS
CUR (AVERUNT)
ANNO DOMINI
MDCCXXXXIII

Un elemento architettonico che adorna notevolmente la facciata è l’ampio portone a due ante, scandito da forti bugnature lignee; portale inserito in una classica incorniciatura con lesene e paraste ai lati, sormontate da una trabeazione dorica, con due bei modiglioni ionici alle estremità, quali mensole decorative del fregio trabeato.


Testo tratto da: “Senigallia e la sua Diocesi STORIA – FEDE – ARTE” – Mons. Angelo Mencucci – Editrice Fortuna 1994 ; “S.MARIA ASSUNTA – La chiesola del castello di Monte Porzio – storia, devozione, arte” – Mons. Angelo Mencucci.

 

IL campanile

chiesolacampanileE’ una piccola costruzione architettonica di stile romanico, ad una sola parete con apertura bifora ad arco a tutto sesto, con due campane; al di sopra un frontone appena segnato e terminante con un timpano triangolare.

Il tempietto è fabbricato con mattoni a tutta vista e pur nella sua nudità rupestre e annosa è piacevole come reperto murario di tempi passati ma soprattutto come vetusta della campanaria che anche oggi riecheggia i religiosi distici latini incisi in tante altre campane della diocesi:

DEUM LAUDO – POPULUM VOCO – DEFUNCTOS PLORO
DEAMONES FUGO – MORBOS DEPELLO – FESTA DECORO
VOX MEA VOX VITAE – VOCO VOS AD SACRA VENITE

LODO IDDIO – CONVOCO IL POPOLO – PIANGO I DEFUNTI
SCACCIO I DEMONI – VINCO LE MALATTIE – RALLEGRO LE FESTE
LA MIA VOCE E’ VOCE DI VITA – VENITE ALLE SACRE LITURGIE


Testo tratto da: “Senigallia e la sua Diocesi STORIA – FEDE – ARTE” – Mons. Angelo Mencucci – Editrice Fortuna 1994 ; “S.MARIA ASSUNTA – La chiesola del castello di Monte Porzio – storia, devozione, arte” – Mons. Angelo Mencucci.