Storia

Gli archivi, che hanno spinto alla ricerca delle memorie più antiche su Monteporzio sono quelli stessi che riguardano gli antichi monasteri di San Lorenzo in Campo, Fonte Avellana e San Gervasio. Molte carte, come si può constatare dalla bibliografia, sono state già pubblicate e ciò ha permesso, a parte i reperti dell’evo antico, di entrare nell’alto medio evo fino ai bizantini della Pentapoli, ai Longobardi ed ai Bulgari. Evidentemente, oltre a quelle antiche, le stesse carte danno molte notizie dell’evo moderno, sempre seguendo le vicende di quei monasteri. Così si devono consultare gli archivi Barberini in deposito alla Biblioteca Vaticana, del Collegio Germanico e di Stato di Firenze e di Pesaro. Qui particolarmente, nell’archivio di Stato di Pesaro, si conservano anche i documenti delle abbazie di San Gaudenzio di Senigallia e di Sitria, cui era legato il monastero di San Gervasio.
Avendo avuto origine Monteporzio, e in parte Castelvecchio, come centri abitati, con la venuta dei conti di Montevecchio nel Quattrocento, la storia di questi luoghi è registrata nell’archivio di questa famiglia, dove ha attinto Laura di Montevecchio Almerici. Qui la fonte è tutt’altro che esaurita e sarebbe assai interessante la ricerca e lo studio su gli Statuti del feudo.
Fondamentali sono poi gli archivi ecclesiastici: archivio parrocchiale di Monteporzio, archivio parrocchiale di Castelvecchio e Cancelleria vescovile di Senigallia. Interessa anche l’archivio comunale di Senigallia, dove sono conservati alcuni libri contabili della famiglia Montevecchio.
Sia per Monteporzio, appodiato di Mondolfo durante il Regno Italico, e molto più per Castelvecchio, appodiato di Mondolfo prima e dopo il Regno Italico, è necessaria la ricerca anche nell’archivio di questo comune. Infine, dopo la soppressione del feudo dei Montevecchio, centro principale della raccolta dei documenti è l’archivio comunale di
Monteporzio, dove tuttavia si conservano in un fascicolo inventariato anche alcuni documenti del periodo feudale.
Ma è necessario aggiungere a quanto detto una nota particolare sull’archivio dei Montevecchio. Questo archivio era stato depositato nella Biblioteca Federiciana di Fano. Ma il duca Cante di Montevecchio Benedetti il 22 agosto 1950 dichiarò che, vista l’impossibilità di disporre nella sua casa sita in Piazza Costanzi di Fano, allora occupata da un istituto religioso, sarebbe stato suo desiderio riprendere l’archivio e sistemarlo convenientemente, secondo le disposizioni di legge, nella sua abitazione di Castelviscardo in provincia di Terni, in attesa di una sistemazione definitiva nella città stessa di Fano, sede della famiglia. Tale dichiarazione venne fatta davanti al dottor Antonino Lombardo, Direttore di 2° classe nell’Amministrazione degli archivi di Stato, in servizio presso il Ministero dell’Interno, incaricato della Soprintendenza archivistica per il Lazio, Umbria e Marche, presenti anche, nella sede della Biblioteca Comunale Federiciana di via Castracane, il Direttore della stessa Biblioteca dottor Cesare Moreschini, il conte Pier Carlo Borgogelli Ispettore Onorario Bibliografico e Archivistico, il conte Luciano Aventi di Sorrivoli (cognato del duca), la N. D. Cordelia Flaiani di Montevecchio vedova Vitali ed il signor Evaristo Menghetti fu Perseo di Fano. Il dottor Moreschini ed il conte Borgogelli espressero il desiderio che l’archivio stesso fosse restituito definitivamente a Fano a disposizione degli studiosi. Accolte tali dichiarazioni, venne stilato un verbale in quadruplice copia: per il Ministro dell’interno, per la Soprintendenza di Roma, per la Biblioteca Federiciana e per il duca Cante di Montevecchio Benedetti.
Tuttavia nella stessa Biblioteca sono conservati molti volumi manoscritti dell’archivio Montevecchio, raccolti nella XIX sezione. Si tratta di 35 volumi, riguardanti la famiglia del patriziato fanese (cioè i «signori» di Monteporzio), eccetuato il n. 7 che proviene da un archivio privato di Matelica; gli ultimi tre volumi raccolgono documenti e diversi manoscritti e stampe. I volumi furono donati alla Federiciana dal signor Romolo Eusebi, mentre l’insieme dei documenti venne acquistato per il tramite del signor Eusebi nella sua veste di antiquario.

GLI ABORIGENI PREGALLICI
Il nostro territorio entra nella storia soltanto con i Galli Senoni, ma è documentato che esso fosse abitato già dagli uomini dell’età della pietra.
Sul greto del fiume Nevola, affluente del Cesano presso San Lorenzo in Campo, sono stati rinvenuti manufatti bifacciali di tipo acheuleano. A età musteriana si fa risalire il megacero d’Irlanda (fossile gigantesco di circa quattro metri), assai raro in Italia, scoperto nella valle del Cesano presso Miralbello. Nel 1951 il dottor Giorgi ha raccolto a Monteporzio un «grosso frammento di un nucleo siliceo color carne e tavoletta di amigdaloide»; questi pezzi sono conservati nel Museo di San Lorenzo 1.
A Ripabianca di Monterado, ai confini del comune di Monteporzio, venne esplorata nel 1962 dalla Soprintendenza alle Antichità delle Marche una delle più interessanti e studiate stazioni neolitiche, i cui reperti sono ora custoditi nel Museo Nazionale di Ancona 2. Si tratta di una capanna di otto metri con la parte inferiore ricavata un metro e cinquanta sotto il deposito fluviale. Questi neolitici, pacifici agricoltori, abitavano qui nel V millennio a. C. e precisamente, stando all’analisi del carbonio, 6210 circa o 6140 circa anni fa. L’abbondante materiale (vasi di ceramica in varie forme, idoletti fittili, industria littica, ossidiana e su osso, molti elementi ornamentali come valve di conchiglia e pezzi di argilla cotta con impronta di rame e di frascame) dimostra largamente la cultura di questi popoli, che partecipano alla grande conquista umana della pastorizia e della agricoltura. Nei resti faunistici si riconosce una prevalenza degli Ovidi sui Bovidi, una relativa presenza di Canis familiaris ed una presenza di Cervus elaphus, di Vulpes vulpes, di Ursus arctos, di Felix sylvestris, di Capreolus capreolus, e di Putorius putorius. Non sappiamo se la pacifica vita dei nostri agricoltori neolitici fosse stata sconvolta dai mercanti e guerrieri razziatori eneolitici, di cui è noto lo stanziamento alle Conelle di Arcevia nel III millennio a. C. È una questione da lungo tempo dibattuta, molto confusa e mai risolta quella riguardante i passaggi dai vari popoli nei nostri luoghi, sui quali poi si sarebbero sovrapposti i Galli Senoni nel secolo V a. C. Secondo il Cimarelli, sarebbero sciamati qui i popoli dopo la confusione di Babele; secondo lo Speranza, sarebbero venuti dall’alveare dei popoli nell’altipiano dell’Imalaia; il Tondini parla della colonizzazione fenicia. La miglior fonte orientativa è data da Plinio il Vecchio (III, 112-114), che pone sull’Agro Gallico (il futuro territorio dei Senoni da Rimini all’Esino) i successivi passaggi dei Siculi, dei Liburni, degli Umbri, degli Etruschi e infine dei Galli Senoni.
È accertato che la vallata del Cesano era intensamente popolata da popolazioni della stessa civiltà di Novilara al sec. X a. C. È nota la necropoli San Costanzo, una delle più arcaiche necropoli picene3. Meno nota è la necropoli di Monte d’Oro di Scapezzano, una tipica terrazza sul Cesano presso il mare. Era stata già questa segnalata dal Moretti, Soprintendente alle Antichità per le Marche, nel 1928 con residui di tombe, che indicano un vicino centro abitato. Recentemente gli alunni della scuola elementare di quella località hanno raccolto e stanno raccogliendo abbondante materiale, che conferma il centro abitato e lo specifica di notevole grandezza. Si tratta di anse d’impasto a verniciatura nerastra, frammenti di ciotole a cordicella e cerchiolini, rocchetti e fuseruole di varie forme e dimensioni, conchiglie ornamentali4. Ma nel nostro territorio di Monteporzio venne rinvenuto il reperto, forse il più interessante della vallata relativamente a questa civiltà del ferro: il grande vaso attico. Ne dà notizia, con lettera in data 16 ottobre 1952 al Giorgi, il Soprintendente alle Antichità per le Marche Giovanni Annibaldi, accludendo due lucidi, qui riprodotti nelle Tavole, «del disegno sommario, riguardante le figurazioni del cratere a colonnette che si conservava nel secolo scorso in casa dei Duchi di Monte vecchio a Fano e che si era rinvenuto in un tenimento della stessa famiglia a Monteporzio dentro un sepolcro con altre suppellettili. L’altezza del vaso è di m. 0,45»5.
Chi era il popolo di questa civiltà, presente nella vallata del Cesano e qui a Monteporzio dopo i neolitici e prima dell’arrivo dei Senoni? È un popolo arcaicizzante, diretto discendente dei neolitici, conservatore e in cui sopravvive l’antico rito della inumazione con i corpi rannicchiati. Le iscrizioni di Novilara «ci presentano una lingua, nel suo insieme, né etrusca, né italica, né celtica, né illirica, per quanto, com’è naturale, vi si possa trovare qualche elemento dovuto a contatti cogli Illirici e coi Nord-Etruschi, con cui hanno in comune l’alfabeto, di origine focea»6. Secondo gli storiografi De Sanctis e Pareti, si tratterebbe di un ramo dei Pelasgi, cioè degli Asili. Silio Italico (VIII, 443-445) fa provenire questo nome di Asili da Aso, re dei Pelasgi, che avrebbe dato il nome anche al fiume Esino. Anche Scimmo da Chio e Diodoro Siculo vedono nei nostri luoghi i Pelasgi. Dato pure il carattere mitico di questo popolo e date anche le esagerazioni di scrittori locali, che vantano le origini delle nostre popolazioni e specificamente della città di Suasa dai Pelasgi, non è sana critica l’antica contraddizione, l’antico antagonismo tra mondo agricolo e mondo pastorale, evidentemente non come elementare distinzione di forze socialmente differenziate, ma come complessa contrapposizione di società in via di organizzazione urbana e nazionale alle comunità frammentarie delle genti italiche le quali accentuano, in virtù di questo rinnovato antagonismo, la loro fisionomia di pastori-guerrieri. Subappeninici e Italici (Umbri, Sabini, Aborigeni, Siculi, Enotri, Itali, Morgeti, Ausoni) divengono in questo senso termini equivalenti. La frammentarietà onomastica rispecchia con ogni probabilità una reale struttura delle comunità pastoralistiche le quali vivono riunite in famiglie o gruppi di famiglie (gentes) e che, a causa di situazioni contingenti, si volgono verso forme di associazione a tipo federativo o, viceversa, verso forme di dissociazione. Un esempio di dissociazione è il distacco di un gruppo dal ceppo principale, per il trasferimento in altri territori: è il costume italico del ver sacrum legato verisimilmente alla pratica della transumanza stagionale».
Specialmente tra gli archeologi esiste, in mezzo a tante differenti opinioni, una certa concordia nel chiamare «civiltà picena» questa degli abitanti delle Marche nei secoli X-V a.C. Pur volendo precisare con insistenza l’uso del termine soltanto in senso convenzionale (relativo ai popoli abitatori del futuro piceno), essi si trovano di fronte a tre rischi: primo, di dare come definita l’unità di cultura esclusiva delle Marche; secondo, di identificare unità di cultura con unità di popolo9; terzo, di favorire la confusione di questi Piceni con i Piceni storici (cioè di quei Picentini, che si allearono con i Romani nel 299 a.C. e di cui Livio X, 11, 7). Il Giorgi e la Lollini riferiscono ai Piceni la cultura, di cui è testimonianza la suddetta necropoli 10. Ma per l’Agro Gallico, cioè per i nostri luoghi, si aggiunge un’altra ragione, che convince di non usare il termine «civiltà picena» per evitare la confusione: non esiste nessuna prova certa, letteraria ed archeologica, che testimoni la presenza dei Piceni prima e dopo l’avvento dei Galli.

I GALLI SENONI
Abitando i Galli, come afferma Polibio (II, 17, 9), «in villaggi non fortificati» e stimando essi l’unica ricchezza, non le belle abitazioni, ma soltanto l’oro e il bestiame, è impossibile, nel periodo preromano, trovare loro reliquie di edilizia. I reperti gallici sono soltanto nei sepolcri e negli oggetti di bronzo e di ferro. «Sepolcri gallici a tipo inumazione si trovarono a Piobbico presso Urbania, e San Pietro in Musio comune di Arcevia, privi di oggetti etruschi o greci; sotto il colle di Ravaje presso Pergola, a S. Gervasio presso Mondolfo ecc. Il ferro prevale sul bronzo, presenza di lunghe spade di ferro, tipo La Tène. Vicino ad armi di ferro si rinvennero elmi di bronzo a calotta del tipo etrusco, del V e IV secolo. Uno dei detti elmi si trova nella raccolta di oggetti antichi presso Monti a Nidastore. Altri sepolcri gallici si trovarono a Montefortino (del III secolo) presso Arcevia (…). Un idoletto gallico di bronzo con torques si rinvenne persino sul Catria, e si ricorda ancora a Cagli la necropoli gallica di S. Vitale. Presso Pergola vi è una località chiamata: Piano dei Galli»1. L’elmo gallico, di cui parla il Giorgi 2 e del quale la nostra tavola, sarebbe invece stato rinvenuto a Bastia di Mondolfo. Tombe alla cappuccina con scheletri circondati da lance, giavellotti, lucerne, collane, braccialetti, vasi di terracotta, monete, oggetti attribuiti almeno in parte ai Galli Senoni, vennero rinvenuti nel 1890-1893 in occasione della costruzione della stazione ferroviaria di Pergola 3. Anche tra i reperti di Monte d’Oro, di cui si è parlato nel cap. II, se ne riscontrarono alcuni della civiltà gallica.
Dal territorio di Monteporzio non vengono dunque segnalati reperti gallici ma da tutta la zona circostante. Si deve comunque notare che la vallata del Cesano è al centro del territorio occupato dai Senoni e Monteporzio è in sito equidistante o quasi tra le loro città Sena e Suasa. Si deve anche notare che la vicina Sena era la metropoli di quei Galli e ciò, nella opinione pressoché comune, si accerta per tre motivi: primo, per il legame etimologico Sena-Senoni sia che il nome della città provenga da quel popolo sia viceversa; secondo, perché la grande avventura, dei Senoni nello scontro secolare con i Romani, inizia, prosegue e termina a Sena; terzo, perché le uniche città
«mediterranee» (cioè dell’entroterra senone), Suasa e Ostra (Tolomeo, III, 1) sono dell’entroterra senigalliese. I Senoni si sono stanziati nell’Agro Gallico (da Rimini all’Esino), almeno fin dalla fine del secolo V a. C. e vengono così descritti da Floro (I, 7, 4): «I Galli Senoni furono gente feroce per natura, di costumi inauditi, a ciò conformati dalla mole dei loro corpi e dalla grandezza delle loro armi e fu sotto ogni aspetto tanto terribile che sembrava nata appositamente per uccidere gli uomini e distruggere le città». La loro invasione deve essere interpretata come una lenta e progressiva espansione verso terre più ricche. Così avevano occupato il litorale adriatico fino oltre Camerano e si erano diretti sulla via di Roma, quando a Camerino (l’antica Camars Clusium, poi erroneamente confusa con Chiusi in Toscana, chiamata anch’essa Camars Clusium) si scontrano con i Romani ed iniziano nel 390 (nella cronologia greca 387/386) la grande avventura.
Questa in sintesi la lectio vulgata, specialmente da Tito Livio (libro V), avvertendo la necessità di distinguere il racconto sostanzialmente storico dalla leggenda.
Il Brenno, re dei Senoni, infuriato contro i Romani, che contro il diritto delle genti avevano parteggiato per i Clusini (i Camerinesi), ne distrugge l’esercito nella battaglia dell’Allia a 11 miglia da Roma a sinistra del Tevere (probabilmente al Fosso della Bettina). Era il 18 luglio: il Dies Alliensis (il «giorno dell’Allia») passerà nella storia come il «giorno infausto». A quella vittoria gallica segue una facile occupazione di Roma, messa a ferro e a fuoco; solo il Campidoglio, dove si raccolgono con i loro tesori donne, bambini e giovani superstiti, riesce a difendersi dalla furia dei vincitori.
L’avvenimento è di portata internazionale, al centro della letteratura latina e greca, fondamentale per la storiografia romana. Allora i Greci vengono a conoscenza di una città chiamata Roma e Polibio (Il, 35, 2) chiama questi «episodi della Fortuna» cioè la guerra gallica la più considerevole della storia. Ma la penuria dei viveri e la pestilenza favoriscono la riscossa dei Romani e impediscono che «tutto diventi Gallia» (Livio V, 44, 7), come era avvenuto nella civile valle padana degli Etruschi. Pur dopo un atto di violenza, simboleggiato dal grido del Brenno «Guai ai vinti», i vincitori sono costretti a tornare nelle loro parti (Polibio II, 18, 3), da dove tuttavia riescono a terrorizzare Roma per oltre un secolo. Finalmente i Romani possono portare la guerra nel territorio stesso dei loro nemici, che vengono defi- nitivamente sconfitti a Sentino (presso Sassoferrato) nel 296 a.C. e nel 283 Cornelio Dolabella trionfa sui Senoni, facendo strage nel loro stesso territorio e portando il loro capo Britomarte a Roma. A parte la opinione di alcuni, che fanno derivare da questa strage il nome di Marotta4, non si può mettere in dubbio che teatro principale di tale rovina è la nostra valle del Cesano.
Floro (I, 8, 3-4) scrive che Dolabella distrusse completamente i Senoni perché non ci fosse più nessuno di quel popolo che potesse vantarsi di aver incendiato Roma e che di fatti dei Senoni non c’è più nessuna traccia. Similmente parlano di questa distruzione altri scrittori antichi. Ma si tratta evidentemente di una esagerazione, perché, a parte quelli che, come scrive Polibio, ebbero la possibilità di fuggire altrove (in Francia, come afferma lo stesso Polibio, oppure nella regione alpina o anche in Grecia e in Galazia dell’Asia Minore) un grosso vestigio di quel popolo è rimasto nell’accento gallico delle nostre popolazioni; si può con certezza affermare che qui i Senoni sopravvivono come maggioranza etnica romanizzata. E il Giorgi osserva in proposito: «Se ammettiamo che i Galli Senoni siano stati scacciati completamente dal territorio, bisognerebbe ammettere che i Galli della vicina Emilia (Boi ecc.) si siano infiltrati nel territorio lasciato libero dai Senoni per poter giustificare il problema etnico-antropologico e linguistico attuale della zona. Certo è che i Romani esasperati per tante lotte, umiliazioni e timori, vistasi aperta la via al paese dell’odiato nemico si precipitarono pieni di sdegno, decisi a farne vendetta (…). Le uccisioni, le stragi, le razzie, gli incendi, le distruzioni superarono i limiti della prudenza romana. Però non fu lo sterminio. Se riuscirono a mettersi in salvo sulle colline numerosi cittadini durante la strage di Alarico perché non si sarebbero salvati altrettanti Senoni dal momentaneo furore dei Romani -2 Del resto il paese si presta assai alle evasioni».
La migliore opinione vede in questa asserita distruzione soltanto una schiavizzazione del popolo senone, limitando l’uccisione ai soli giovani in armi.

I ROMANI
Con la deduzione della colonia a Sena, che si chiamerà poi Sena Gallica = Senigallia dopo la fondazione della colonia di Sena lulia (Siena in Toscana), nell’anno 284 a. C., i Romani compirono un passo gigantesco per la conquista del mare «supero» cioè del nord Adriatico. Alla fine della prima guerra gallica, che si concluse dopo 107 anni dall’incendio di Roma, seguirono 45 anni di pace tra i Romani e gli altri Galli. Questa sosta servì, con rapido risultato, per il consolidamento definitivo dell’Agro Gallico nella romanizzazione dei Senoni superstiti. Allora veramente nessuna traccia rimarrà dei Senoni, che diventeranno i Galli romanizzati, i Senoni della Gallia Togata. Dopo 16 anni dalla colonia a Sena seguì quella a Rimini, quando venne terminata la guerra contro Pirro e contro i Picenti. Nel 238 a. C., dopo la guerra sicula, i Romani mossero guerra ai Galli Boi ed Insubri ed allora «la corsa rapidissima verso l’impero del mondo» (Floro I, 7, 1-
3) non si fermò più. Il territorio della Gallia Togata venne in primo piano con la legge Flaminia del 232 a. C., quando il tribuno Caio Flaminio Nepote, nello sviluppo del dibattito sociale a Roma, favorì la plebe contro il Senato, con l’assegnazione viritaria dell’Agro Gallico.
Il nome di Flaminio è legato anche alla via che da Roma portava a Sena e che, assai probabilmente passava per la valle del Cesano. Si deve accettare la tesi del Radke, che pone a Sena la stazione terminale della primitiva via Flaminia, costruita dal censore Flaminio nel 220 a. C. Questa via non passava per la gola del Furlo sulla valle della via Flaminia con termine a Sena è stata proposta e validamente difesa dal prof. RADKE dell’Università di Berlino in Ricerche su Camerino città Umbra nel 1964 e più recentemente in Viae publicae Romanae coll. 123-160, nel 1971. La via Flaminia, poi più famosa (essendo venuta a cessare la funzione strategica di Sena con la conquista della Gallia cispadana), del Furlo, Fossombrone, Fano e Rimini è la scorciatoia costruita nel 177 a. C. sotto il consolato di Sempronio Gracco e perciò chiamata «Sempronia».
Metauro per finire a Rimini, ma ripeteva, in senso inverso, la via dei Galli verso Roma e cioè da Roma a Sena per Terni, Spoleto, Camerino, Sentino. Rimane incerto l’itinerario da Sentino a Sena, se sulla valle del Misa o su quella del Cesano. La direzione del Misa è favorita dal cippo di Arcevia. Ma è da preferirsi la direzione del Cesano sia dal cippo della Madonna del Piano con l’esattezza delle 184 miglia da Roma (e 16 da Sena) 2sia dalla maggiore chiarezza del piano strategico nella battaglia del Metauro.
Cicerone è lo scrittore più antico a ricordare la battaglia del Metauro, che egli chiama «battaglia di Sena» (Brutus 18, 72-73). Tutti gli altri scrittori classici, greci e latini, fanno riferimento a questa città (Fano allora non esisteva, mentre avrà origine dal votivo «tempio della Fortuna», eretto in ricordo della battaglia al tempo della costruzione della nuova via Flaminia proveniente dal Furlo circa l’anno 177 a.C.). I consoli Livio Salinatore e Claudio Nerone con il pretore Lucio Porcio Licinio si riuniscono a Sena per tagliare la via ad Asdrubale, che aveva dato l’appuntamento al fratello Annibale di incontrarsi nell’Umbria. Asdrubale nel giugno del 207 a.C. era giunto sul fiume Cesano, sorvegliato e contrastato in questa marcia dal pretore Porcio Licinio3, probabilmente nelle località di Cento Croci, Gualdonovo e Sterpettine. Di fronte, a circa un chilometro di distanza (Livio, XXVII, 46, 4), sono schierati i Romani, probabilmente sotto Monte d’Oro dietro le colline presso l’autostrada. Il generale cartaginese, accortosi dell’accresciuto numero dei nemici, ordina la ritirata, ripassa la via cosiddetta Gallica (sulle colline di Mondolfo, San Costanzo e Cerasa), viene raggiunto mentre era alla ricerca del guado del Metauro e qui, a destra del fiume tra le Caminate e la Cerbara, sconfitto. È il giorno fausto del 24 giugno, di cui Ovidio nei suoi Fasti (VI, 769-774) e la battaglia del Metauro è considerata una delle più decisive battaglie della storia del mondo.
Questa battaglia interessa i nostri luoghi, oltre che per le fasi preliminari, come nell’azione di disturbo del pretore romano, anche per le fasi finali e successive. Secondo il Branchini nella valle del Cesano sarebbe stata distrutta la cavalleria cartaginese, inseguita da Porcio Licino, che, come si vedrà nel cap. VI, avrebbe dato origine al nome di Monteporzio, e di cui sarebbe indicazione il rudere romano, qui avanti ricordato, e numerose tombe con tegoloni simili a quelli della valle del Metauro 4. Secondo lo Scipioni da tali fasi conclusive sarebbe derivata l’etimologia di Orciano: qui si sarebbe trovato Annone, un capitano di Asdrubale, e Claudio Nerone, che scorreva la valle insieme con Livio Salinatore, avrebbe esclamato «urgeat Annonem», poi cambiato in Urgeano e quindi Urceano.
Nella questione, sempre dibattuta, sul luogo della battaglia del Metauro, Monteporzio nei tempi recenti è stato al centro della discussione. Il Buroni, in polemica contro le tesi del Basso Metauro (come egli chiama le opinioni, prevalenti, che determinano il luogo tra le Caminate e Cerbara) così ironizza: «In un batter d’occhi è addivenuto celebre Monte Porzio. Il Bonarelli vi sistema le legioni del Salinatore, le legioni di Porcio Licinio, i profughi riminesi; D. Getulio Rossi vi fa molestare fieramente la retroguardia di Asdrubale; D. Aurelio Branchini vi fa distruggere la cavalleria cartaginese “nella notte della fuga, poco prima delle undici alle due”. Interpretazioni, che nessun testo autorizza». A parte l’ironia del Buroni e le esagerazioni degli altri su certi particolari, non si può dubitare che i nostri luoghi siano stati teatro di quel grande fatto storico. Comunque, a parte ciò, molti sono i ruderi romani nella zona. «Monte Porzio:
1) Ascia romana di bronzo, rinvenuta presso i ruderi romani, nel 1925 (Ugo Rellini in Bullettino di Paletnologia Italiana, 1941-42, XIX-XX, anno V-VI, Nuova Serie, p. 115).

2) Nel predio Taddei, poco lontano dal Moraccio ho notato resti di costruzioni in calcestruzzo (Notizia del dott. G. Giorgi, nel 1952).

3) Il podere Micci, al confine di Monte Porzio, contiene moltissimi rottami di tegole di vasi antichi. In un muro simile al Moraccio si rinvenne un sepolcro ricoperto di tegole, con vasi ed un campanello privo di battacchio. In uno scavo praticato dal colono si rinvennero rottami di vasi da cucina, anfore ecc. (Notizie Scavi, 1878, p. 156).

4) Moraccio. Ivi sono ruderi di costruzioni in calcestruzzo; sopra il suolo e sottosuolo, resti fittili, tegoloni da tombe con ossa di scheletri, ecc. Presso il Moraccio nel secolo scorso vennero in luce vasi di terra cotta ordinari, legati con piombo, un pezzo di tegola con bollo L. AFID DEME, ed altre (Notizie Scavi, 1878, p. 156).

5) Nel podere Melangola, in luogo prossimo ove si fecero scavi nel 1878 si trovò un oggetto ove il direttore lesse: L. PEA AT., una tomba di età repubblicana e una casa romana (Notizie Scavi, 1878, p. 156 e 312)».
DALLA DISTRUZIONE DEI BARBARI ALLA RICOSTRUZIONE CRISTIANA.

I BULGARI
Come si è segnalato nei primi capitoli, il nostro territorio venne abitato fin dai tempi dell’età della pietra e se ne ricordano e se ne hanno tuttora le tracce, come quelle successive dei pregallici, dei Senoni e dei Romani. Non si è potuto, è vero, argomentare un centro abitato, tuttavia la nostra storia è direttamente interessata al grande avvenimento della fine dell’impero romano con la distruzione dei barbari e la trasformazione e ricostruzione operata dal cristianesimo. In un mutuo avvicendamento e relazione di effetto e causa, intervengono qui anche le condizioni economiche, ma ciò non impedisce che da allora, del resto come ora, questa storia è la storia delle chiese, con le quali nascono, si sviluppano e muoiono i villaggi.
Nel 408 dell’era di Cristo, Alarico, re dei Goti, scende in Italia, passa il Po a Cremona e venendo da Bologna e Rimini, porta la distruzione nel Piceno, come si rileva particolarmente dalle opere di Giordane e di Procopio1. Lo storiografo senigalliese, l’arciprete della cattedrale Giovanni Francesco Ferrari, precisa, ma da fonte incerta e insicura, che Alarico distrusse Senigallia il giorno 8 agosto, mentre il cognato Ataulfo distruggeva Suasa e Ostra 2. Da questo barbaro Ataulfo, sempre secondo il Ferrari, deriverebbe il nome di Mondolfo («Montataulfo- Montaulfo-Mondolfo»)3. Tali «distruzioni» debbono interpretarsi relativamente, data la sopravvivenza non solo di Senigallia, che riprenderà vita entrando a far parte nel sistema politico-militare della Pentapoli, ma, limitatamente fino alla fine della guerra gotica ed all’arrivo dei Longobardi, anche di Suasa e Ostra.
Potrebbe riguardare il territorio di Monteporzio e Castelvecchio una iscrizione latina in grafia greca, ritenuta spuria dal Bormann ma più probabilmente autentica, che dice: «(Io) Suasa, nata con le fatiche dei Greci, ho coperta tanta vastità (di territorio) che tu vedi. L’empio Alarico, volendomi distruggere, mi ha creato madre dei tanti castelli circostanti. Lode a Dio»5. Tra questi castelli dovrebbero annoverarsi quelli di Monteporzio e Castelvecchio e gli altri del territorio ora distrutti. La scomparsa di Suasa ha dato certamente modo di svilupparsi a questi castelli.
La vallata del Cesano fu certamente teatro della guerra gotica ed è probabile quanto viene riferito da alcuni che qui passò Narsete prima della sua vittoria definitiva a Busta Gallorum (= crematorio dei Galli), anche a prescindere se questa località venga situata a Gualdo Tadino o nel territorio di Sentino6. Questa guerra gotica e la successiva invasione dei Longobardi completarono la distruzione. Ma gli stessi barbari, convertiti al cristianesimo cattolico, iniziarono subito la ricostruzione. I nostri luoghi sono nel triangolo di territorio delimitato da tre monasteri insigni: Santa Maria in Portuno (Madonna del Piano), San Lorenzo in Campo e San Gervasio. L’abbazia di Santa Maria in Portuno testimonia il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, dal culto di Venere a quello della Madre di Dio; a San Lorenzo in Campo si venerarono le reliquie di San Demetrio portate qui al tempo dei Bizantini; a San Gervasio si ammira tuttora il sarcofago cristiano dei primi decenni del sec. VI: siamo cioè nel tempo prima dell’arrivo dei Longobardi. Più avanti si registreranno i primi ricordi dei nostri luoghi appunto dalle proprietà di questi tre monasteri.
Ma Monteporzio e Castelvecchio si ricollegano con San Gervasio con i vincoli etnici e religiosi: San Gervasio è la chiesa dei Bulgari, dei quali è presso di noi il primo storico centro abitato.
I documenti che accertano nel territorio comunale un luogo chiamato «Bulgaria», come solevano nominare gli emigrati Bulgari la località del loro stanziamento in ricordo nostalgico della «grande Bulgaria» alle foci del Volga, sono numerosi.
Il documento più antico è il privilegio concesso dall’imperatore Ottone III il 7 marzo 1001 all’abbazia di San Lorenzo in Campo, nel quale si parla della «cella di San Pietro in Bulgaria» nel territorio di Senigallia.
Il privilegio del papa Pasquale III del 6 febbraio 1112 allo stesso monastero conferma tra i vari beni anche «la corte di San Pietro in Bulgaria».
Il giorno 1 gennaio 1120 Mainardo, abate di San Lorenzo in Campo, concede in enfiteusi a Paolino e Vivolo, figli del fu Atto, ed a Berta loro madre tre moggi di selva e terra «nel fondo San Pietro dei Bulgari».
Il 21 ottobre 1127 Imelda, figlia del fu Guglielmo, e Corrado, figlio del fu Sifredo, cedono a Mainardo, abate di San Lorenzo in Campo, le loro proprietà, tra le quali elencano quella sita «nel vico dei Bulgari»
Il papa Anastasio IV, rinnovando il privilegio alla stessa abbazia il 27 novembre 1153, nomina tra i vari beni anche «il castello di San Pietro di Bulgaria»12.
Il papa Urbano III il 25 giugno 1187 conferma ancora questi beni, tra i quali «la corte di San Pietro in Volgaria».
Già da questa sintesi risalta che la chiesa, il fondo, il castello, la corte di Bulgaria fosse sita nel nostro territorio, trattandosi di beni siti nel comitato di Senigallia. Gli altri beni, siti nel comitato dei Senigallia, sono ben distinti, come Cerqua Cupa, Frattula, Carticosa ecc. Un documento, spurio ma nel caso della identificazione di piena validità, tratta della donazione di Gottifredo di Castel Berardo (presso Castelvecchio) al monastero di San Lorenzo in Campo14. Nel testo di questo documento si danno questi confini: «primo, il fiume Cesano; secondo, il Rio Maggiore; terzo, il castello di Busicchio»15. Inoltre, una nota nel verso del citato documento del 1127 sulla cessione di Imelda e Corrado è esplicita sul sito «In Bulgnisco di San Pietro di Monte Porco nel fondo di Monte Porco»16. A conferma si richiamano anche i due documenti del 3 agosto 1149 sui possedi- menti di Panfilia del fu Alberico, scritti «con mano antica e longobarda»17: i Bulgari convivevano con i Longobardi ed erano soggetti alle loro leggi.
Una difficoltà potrebbe essere il silenzio assoluto, nei secoli successivi fino al presente, sulla chiesa di San Pietro; ma ciò non è un caso unico, anzi è normale, perché tale silenzio si ha anche su altre chiese, come si vedrà qui avanti trattandosi della pieve.
Come spiegare la presenza di questo popolo nei nostri luoghi? come e quando vi sarebbero venuti? Presupposta la presenza dei Longobardi nella Pentapoli, cioè nelle «cinque città», tra le quali Senigallia, collegate con l’esarcato di Ravenna, e presupposta anche la convivenza dei Bulgari con i longobardi stessi, non si può escludere la possibilità di un ingresso in Italia con Alboino nel 568 e nella Pentapoli verso la fine del sec. VI18. Ma è più probabile la loro venuta quasi esattamente un secolo dopo secondo i racconti degli scrittori greci Teofane e Niceforo, riportati poi anche da Landolfo Sagace. Sintetizzando e spiegando tali racconti, si ricorda che al tempo dell’imperatore Costante II (641-668) o Costantino IV (668-685) Orbato o Crobato, re dei Bulgari, prima di morire aveva raccomandato ai suoi cinque figli di non separarsi ma di restare uniti senza dar mai fastidio agli altri popoli. In realtà solo il primo, di nome Buthaias, restò nell’antico territorio sul Volga: è il territorio chiamato «Magna Bulgaria» con la capitale Bulgar, dove i Bulgari resistettero vittoriosi contro i Mongoli e i Tartari; fino a Pietro il Grande i sovrani russi conservarono il titolo di Signori della Bulgaria. Il secondo figlio, Contarago o Cotrago, passò il fiume Don fermandosi di fronte al territorio del primo fratello. Il terzo, chiamato Hasparuk, passò il Danubio e si fermò nel territorio della odierna Bulgaria, dove, con l’indipendenza dall’impero bizantino, si formò il regno Bulgaro. Degli altri due figli, anonimi, il quarto andò in Pannonia assoggettandosi agli Avari, e il quinto venne nella Pentapoli, vicino a Ravenna, assoggettandosi all’impero dei cristiani. Di stanziamenti di Bulgari nella Pentapoli si ha memoria, oltre che qui a Monteporzio, anche nel vicino Ponte Rio, dove presso la chiesa di San Gervasio di Bulgaria era sito il «vico degli Sclavini» (i protoslavi uniti ai Bulgari), nel territorio di Rimini e di Osimo.
I nostri Bulgari erano un popolo pacifico di agricoltori, senza organizzazione militare. Dalle espressioni dei citati Teofane e Landolfo Sagace sembra dedursi che essi venissero qui ancora pagani. Ma ben presto si convertirono al cristianesimo ed è ricordo e monumento della loro fede la chiesa di San Gervasio, la chiesa parrocchiale di Monterado, che ha per titolare insieme con San Patrignano il santo degli Slavi San Giacomo Minore, i toponimi vari della nostra vallata riferentisi al santo nazionale dei Bulgari Sant’Andrea. Con Paolo Diacono (V, 29) si può dire dei nostri come di quelli del Molise:
«Ancora oggi (cioè al sec. VIII) gli abitanti di quelle zone, benché ormai parlino anche il latino, non hanno perduto l’uso della loro lingua». Questa lingua latina, «lingua veiculare» fra tutti i dialetti barbarici, finirà per prevalere, essendo l’unica scritta; anche le leggi barbariche venivano scritte in latino. I Bulgari erano in posizione
19 Su questo quinto figlio cfr. TEOFANE in MIGNE, PG, 108, col. 728; NICEFORO in MIGNE, PG, 100, col. 932; LANDOLFO SAGACE in MIGNE, PL, 95 col. 1056. I Bulgari stanziati in Lombardia e nel Piemonte sarebbero venuti in Italia insieme con Alboino. PAOLO DIACONO, V, 29, in un racconto parallelo, almeno cronologicamente, parla del duca dei Bulgari Alzeco, che ebbe delle terre deserte da Romoaldo, duca di Benevento e figlio del re longobardo Grimoaldo; con le città di Sepino, Boviano, Isernia e altre città si formò il gastaldato, da cui poi il comitato Molisano. Se si dovesse identificare questo Alzeco con il bulgaro Alzio dello pseudo-FREDEGARIO (in MIGNE, PL, 71, col. 651 n. 72), sarebbe stata lunga e tragica questa emigrazione: questi Bulgari si sono rifugiati in Francia ma il re Dagoberto in una sola notte li fece uccidere tutti con le loro mogli e bambini; Alzio ne sarebbe superstite con settecento uomini con le loro mogli e bambini.

Tratto da “Monte Porzio
e Castelvecchio nella storia” Mons. Alberto polverari

Festa Giubilare per il 75° anniversario dell’Incoronazione

Festa Giubilare per il 75° anniversario dell’Incoronazione del SS. Crocifisso – Maggio 1934-2009 – Programma e lettera alle famiglie

PARROCCHIA DI S. MICHELE ARCANGELO MONTE PORZIO (PU)

FESTA GIUBILARE PER IL 75° ANNIVERSARIO DELL’INCORONAZIONE DEL SS. CROCIFISSO

MAGGIO 1934 – 2009

Settenario 26 Aprile – 2 Maggio 2009

PROGRAMMA

Domenica 26 Aprile

* ore 8,00 – S. Messa

* ore 11,00 – S. Messa (presieduta dal P. Predicatore)

>Anniversari della Prima Comunione

> 25° della Professione Monastica di fr. Germano Caprini monaco camaldolese

>Vestizione dei nuovi Confratelli della Confraternita del SS.mo Sacramento “”SPOSTATO A MERCOLEDI'””

* ore 12,00 – Inaugurazione della MOSTRA FOTO, QUADRI RICORDO, RICORDINI della Prima Comunione

* ore 21,15 – Concerto musicale proposto dalle diverse generazioni di musicisti, cantanti e attori di Monte Porzio – Intervento del P. Predicatore

(in Piazza della Pace – in caso di maltempo presso la palestra del C. S.) “”ANNULLATO PER CATTIVO TEMPO”” Si terrà il 14 Giugno in occasione della Cena di solidarietà”.(data presunta)

Lunedì 27 Aprile

* ore 15,00 – Per i ragazzi delle Elementari e Medie:

> Preghiera e Catechesi Missionaria con P. Gianfranco Priori (in chiesa)

> Un’ora di festa con “Frate Mago” (nel teatrino)

* ore 18.00 – S. Messa

* ore 21,00 – Presentazione progetto “Con il mondo negli occhi”

Il progetto, che nasce dalla partnership costituita tra alcuni soggetti “non profit” operanti nella nostra Diocesi, intende promuovere uno stile di vita più coerente con l’insegnamento evangelico, improntato alla sobrietà che rifugga dallo spreco e dal consumismo.

Il progetto riguarda due aree:

a) Economia e finanza etica, acquisto critico, mobilità sostenibile.

b) Accoglienza e cittadinanza attiva.

Martedì 28 Aprile

* ore 18,00 S. Messa

Mercoledì 29 Aprile

* ore 15/17,30 – Ritiro dei bambini della Prima Comunione

* ore 21,00 S. Messa (presieduta dal P. Predicatore)

(durante la funzione liturgica vestizione dei nuovi Confratelli della Confraternita del SS.mo Sacramento)

Giovedì 30 Aprile

* ore 15/17,30 – Ritiro dei bambini della Prima Comunione

* ore 21,00 S. Messa (presieduta dal P. Predicatore)

Venerdì 1° Maggio (1°del mese)

* ore 16,00 Confessioni

* ore 17,00 S. Messa e amministrazione dell’Unzione degli Infermi ai malati e anziani

* ore 21,00 – Liturgia Penitenziale con Confessioni (presieduta dal P. Predicatore)

Sabato 2 Maggio

* ore 9,00 -12,00 Ritiro dei bambini della Prima Comunione

* ore 18,00 S. Messa

FESTA DEL SS. CROCIFISSO

Domenica 3 Maggio 2009

* ore 8,00 S. Messa

* ore 10,00 S. Messa della Prima Comunione

* ore 20,30 S. Messa presieduta dal Vescovo Diocesano

Mons. Giuseppe Orlandoni

* ore 21,30 Solenne Processione con l’Immagine del SS.mo Crocifisso

– dalla Chiesa Parrocchiale per le vie: Mazzini, Roma, Cante, De Gasperi, Rossini, Pinzani,

Monumento Caduti, Piazza Garibaldi, via Mazzini, Chiesa Parrocchiale

* Discorso del P. Predicatore

* Benedizione con la prodigiosa immagine del SS. Crocifisso

* Bacio del SS. Crocifisso

* Concerto finale della Banda Musicale di Orciano (in Piazza della Pace)

– Si prega di addobbare e illuminare le vie percorse dalla solenne Processione

– Si possono prelevare in Parrocchia le tendine da appendere alle finestre lungo la processione (serviranno anche per ilfuturo)

– LA SETTIMANA E’ ANIMATA DAI PADRI CAPPUCCINI DI LORETO

– BANDA MUSICALE G. GARAVINI DI ORCIANO

– ILLUMINAZIONE E ADDOBBO DELLA DITTA IDEA LUMINOSA s.n.c. DI FRATTEROSA

Il Comitato Il Parroco

LETTERA INVITO

LETTERA INVIATA ALLE FAMIGLIE RESIDENTI ED EMIGRATE

PARROCCHIA DI SAN MICHELE ARCANGELO – MONTE PORZIO

DIOCESI DI SENIGALLIA

GIUBILEO DEL 75° ANNIVERSARIO DELL’INCORONAZIONE DEL SS. CROCIFISSO

3 MAGGIO 1934 – 3 MAGGIO 2009

Gentile famiglia,

come già saprai il 3 maggio 2009 ricorre il 75° anniversario dell’incoronazione del SS. Crocifisso che si venera nella nostra parrocchia, ancor oggi da tanti invocato sia per ottenere grazie spirituale che materiali. La prima incoronazione avvenne il 3 maggio 1934.

Per tale importante circostanza è stato istituito un apposito comitato per i festeggiamenti, composto da membri della nostra comunità parrocchiale, con lo scopo di organizzare nel miglior modo possibile, questo straordinario avvenimento, che vedrà una serie di appuntamenti nella settimana precedente e cioè dal 26/04/2009 al giorno 2/05/2009.

In allegato si trasmette il programma delle manifestazioni, che sarà inoltre possibile consultare sul sito web della parrocchia (www.parrocchiamonteporzio.it) appositamente istituito, che vuol essere un punto di incontro con la comunità locale e con le persone emigrate in altri paesi o all’estero.

Inoltre si allega un bollettino di c/c postale per poter effettuare il versamento del contributo.

Queste poche righe vogliono essere in primo luogo un invito a meditare sulla Croce, sintesi dell’annuncio cristiano della salvezza, ed in secondo luogo vogliono rappresentare un appello a contribuire economicamente, secondo le proprie possibilità, affinchè questo straordinario evento, che si celebra ogni venticinque anni (il prossimo giubileo sarà nel 2034 per il centenario) ,venga ben organizzato sia sotto il profilo spirituale che materiale.

Nel ringraziare anticipatamente per il tuo contributo, umilmente invochiamo dal SS. Crocifisso su te e la tua famiglia abbondanti grazie.

Cordialmente.

IL PRESIDENTE DEL COMITATO IL PARROCO

Alessandro Carnaroli

IL PARROCO

Don Luigi Gianantoni

Monte Porzio 15/03/2009

 

Istituzione Comitato Festeggiamenti

Come già avvenuto per i precedenti giubilei, anche per questo 75° anniversario (1934-2009) dell’incoronazione del SS.Crocefisso, è stato istituito un comitato con il compito di preparare, organizzare e coordinare questo grande evento che vede coinvolta tutta la comunità parrocchiale e non.

Il comitato per festeggiamenti è composto da:
Presidente Carnaroli Alessandro
Segretario Aguzzi Mario
Tesoriere Gianantoni Mario
Consigliere Don Luigi Gianantoni
Consigliere Suor Enrica
Consigliere Baruffi Luigi
Consigliere Manieri Enrico
Consigliere Antognetti Giuseppe
Consigliere Costantini Roberto
Consigliere Ragnetti Gianfranco
Consigliere Testaguzza Nadia
Consigliere Castronaro Silvana
Consigliere Gasperini Alberto

Riunioni e verbali del Comitato per i Festeggiamenti

FESTA GIUBILARE PER IL 75° ANNIVERSARIO DELL’INCORONAZIONE DEL SS.CROCIFISSO “MAGGIO 1934-2009”

Riunione del 13 febbraio 2009

Domenica 3 Maggio 2009 nella Parrocchia S. Michele Arcangelo a Monte Porzio (PU) si svolgerà la festa Giubilare per il 75° Anniversario dell’Incoronazione del SS. CROCIFISSO MAGGIO 1934 – 2009.
Il settenario 26 Aprile – 2 Maggio sarà ricco di celebrazioni .
Il comitato per festeggiamenti riunitosi in data 13.02.2009 ha stilato un programma di massima che verrà poi presentato a tutta la cittadinanza.

IL COMITATO ORGANIZZATORE

Festa Giubilare per il 75° Anniversario della Incoronazione del SS. Crocifisso

Preceduta da un Settenario di preghiera, di incontri e di manifestazioni, nella Domenica 3 Maggio 2009 è stata celebrata solennemente la Festa Giubilare, che ritorna ogni 25 anni, nella ricorrenza della Incoronazione con oro della miracolosa Immagine del SS, Crocifisso che si venera da secoli nella nostra chiesa parrocchiale.
Già nell’Ottobre 2008 la Comunità parrocchiale aveva vissuto una Santa Missione, ossia un annuncio straordinario della Parola di Dio, con la predicazione dei Cappuccini P. Aurelio del Convento di Fossombrone e P. Silvio del Convento di Civitanova Alta e con la preziosa presenza di sei Suore Francescane Missionarie del Sacro Cuore provenienti da Roma.

Il Settenario.
Il Settenario ha avuto inizio la Domenica 26 Aprle con la celebrazione della S. Messa presieduta dal P. Predicatore, il P. Mariano di Loreto, con il ricordo degli anniversari della Prima Comunione di tutta la Comunità di Monte Porzio, con il ringraziamento festoso per i 25 anni trascorsi dalla Professione Monastica di
fr. Germano Caprini monaco di Camaldoli e con l’Accoglienza nellla Confraternita del SS. Sacramento di due nuovi confratelli, Cattalani Guerrino e Carloncini Juri.
Nella settimana è stata aperta una bella mostra di Foto e Ricordini della Prima Comunione dai primi decenni del 1900 al 2009. Il Lunedì 27 ha visto nel pomeriggio
l’incontro dei ragazzi delle Elementari e Medie e, la sera, la presentazione del progetto “Con il mondo negli occhi”, progetto che nasce dalla partnership costituita tra alcuni soggetti “non profit” operanti nella nostra Diocesi senigalliese e che intende promuovere uno stile di vita più coerente con l’insegnamento evangelico, improntato
alla sobrietà che rifugga dallo spreco e dal consumismo. Tale progetto riguarda due aree: a) Economia e finanza etica, acquisto critico, mobilità sostenibile; b)
Accoglienza e cittadinanza attiva. Oltre al ritiro dei Bambini della Prima Comunione, la settimana ha visto l’amministrazione del Sacramento dell’Unzione degli infermi ai malati e anziani e una Liturgia Penitenziale con l’amministrazione del Sacramento della Riconciliazione.

Il giorno della festa.
La grande festa del SS. Crocifisso,che concludeva e dava compimento a tutto l’anno giubilare, veniva solennemente celebrata la Domenica 3 Maggio con la S. Messa della Prima comunione al mattino e, dopo un pomeriggio che ha visto l’accorrere di tanta gente anche da fuori Parrocchia per pregare davanti all’immagine del SS. Crocifisso, con la S.Messa della sera, presieduta dal Vescovo Diocesano Mons. Giuseppe Orlandoni in una chiesa piena di tantissimi fedeli in festa, partecipanti con la preghiera e il canto, cui seguiva, ormai nella notte, la Solenne Processione con l’Immagine del SS.mo Crocifisso per le vie Mazzini, Roma, Cante, De Gasperi, Rossini, Pinzani, Monumento Caduti, Piazza Garibaldi, via Mazzini, Chiesa Parrocchiale. Le vie del paese, oltre alla chiesa parrocchiale e al campanile, erano illuminate a giorno (da una splendida illuminazione allestita dalla Ditta Idea luminosa di Fretterosa); così le case di tutte le famiglie cristiane, con i loro lumini e drappi alle finestre in segno di fede e di festa. Dopo il toccante e impegnativo saluto finale del P. Predicatore, Mons. Vescovo Diocesano benediceva il popolo di Dio con la prodigiosa immagine del SS.Crocifisso la quale, rientrata in chiesa,veniva baciata e venerata da tantissima gente, bambini, giovani e anziani. Con le note della Banda Musicale G.Garavini di Orciano, nel Concerto
eseguito in Piazza della Pace, si concludeva non solo la giornata delle Festa ma anche l’esperirenza di un anno intero di preparazione, di iniziative e di preghiera, che aveva voluto celebrare solennemente, non solo per noi ma anche a futura memoria, la Festa Giubilare per il 75° Anniversario dell’Incoronazione del SS. Crocifisso.

L’augurio è che possiamo continuare a cantare nelle fede e nella gioia:
«Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo
perché con la tua santa Croce hai
redento il mondo!».

Il Santuario del Santissimo Crocifisso

Inno all’immagine miracolosa del SS. Crocifisso di Monte Porzio

IO SENTO LA TUA VOCE

1) Io sento la tua voce e vengo a Te, Signor;
pel Sangue sparso in croce mi salvi, o Redentor.

Rit. Mi prostro innanzi aTe
Pregandoti con fè,
e Tu Signore, salvami,
pirtà, pietà di me.

2) Oh! Quanto debol sono,Tu sai divin Gesù;
insieme al tuo perdono mi dai la tua virtù.

3) In fabbrica Tu regna nel modo del lavor;
perché sia fatta degna del Nome tuo, Signor.

4) Dai campi veri e belli si levan lodi a Te;
pel mare e pei castelli si canti con gran fè.

5) Sui colli e le pianure disperi, o Dio, l’error;
tien lungi le sventure dai tuoi lavorator.

6) Monte Porzio Re ti acclama, o Cristo Redentor;
dà pace e gioia sana, prosperità e lavor.

Storia antica e recente

crocifissovecchioDa tempi antichissimi a Monte Porzio, nella pieve parrocchiale dedicata a San Michele Arcangelo, si venera una lignea immagine del prodigioso Crocifisso, custodito dai fedeli come un dono prezioso e rarissimo. Don Giovanni Cesari, già pievano-parroco di Monte Porzio durante il lungo e fecondo periodo che va dal 1894 a tutto il 1920, in un opuscolo scritto un secolo fa lasciò scritto, a proposito delle origini della devozione al SS. Crocifisso, quanto segue:
«La taumaturgica Immagine è da questo popolo venerata ab immemorabili, come si rileva da memorie esistenti nella Parrocchia e che rimontano a più di due secoli. Difatti, nell’inventario redatto il 29 marzo 1715 dal pievano don Benedetto Sampaoli, si dice che “il medesimo Crocifisso si riconosce per antichissimo di segnalata Veneratione, et assai miracoloso, massimamente in tempi calamitosi, come Guerra, Peste, Fame, per chiedere la Pioggia e la Serenità, portandosi processionalmente».


All’altare del Crocifisso il 21 giugno 1582 sorse la Confraternita del Santissimo Sacramento, ad istanza del conte Camillo di Montevecchio.
La devozione aumenta nell’Ottocento. Nel 1852 il parroco don Marco Gentiloni indìce un corso di Missioni, predicate da tre padri Cappuccini, al termine del quale i fedeli provvedono al restauro dell’altare laterale della Madonna della Misericordia, sul quale ancora sorgeva il SS. Crocifisso, ed alla costruzione di una nuova croce commemorativa. Sopraggiungeva frattanto l’anno 1855, gravido di sventure e di desolazioni, perché il colera infieriva un po’ dovunque, ed anche Monte Porzio ne era fortemente contaminato. Il popolo ricorre al Crocifisso e, appena iniziato il triduo, nessuno viene più colpito dal morbo. Alla grande festa di ringraziamento del 21 ottobre di quell’anno partecipa il cardinal Domenico Lucciardi vescovo di Senigallia: il Crocifisso attraversa processionalmente le vie del paese, in mezzo a canti ed a preghiere di riconoscenza.


Intanto il sogno di vedere innalzata in onore del SS.mo Crocifisso una cappella, distinta per lo stile e le decorazioni dalla navata della chiesa, cominciava a illuminarsi della dolce realtà. Si giunse fino al 1883, quando il pievano don Antonio Gradoni, affiancato dal sindaco Gioacchino Pinzani e dall’unanime aiuto della popolazione –come si legge ancora oggi nella lapide posta a sinistra della vetrata- poté innalzare l’elegante cappella in semplice stile toscano.

lapidesx

LAPIDE A SINISTRA DELLA VETRATA

QUESTA CAPPELLA N. S. GESU’ CROCIFISSO DEDICATA PER LA CURA E LE SPESE
DI ANTONIO GRADONI SAC. PIEVANO DI GIOACCHINO PINZANI
E DEI FEDELI NELL’ ANNO 1883 PER LO ZELO E LE SPESE
DI GIOVANNI CESARI SUO SUCCESSORE DEGLI ABITANTI PAESANI ED ESTERI
FU DECORATA CON PITTURE AD ACQUERELLO URANTE [L’ANNIVERSARIO] SECOLARE COSTANTINIANO
NELL’ANNO 1912

Chi è il Gioacchino Pinzani menzionato nella lapide?
Intorno alla metà del 1800 è presente a Monte Porzio una nuova famiglia, quella dei Pinzani. Di loro, come risulta dalla ricerca di A. POLVERARI, Monteporzio e Castelvecchio nella storia, alle pagine 68. 82. 94. 97. 98. 100. 101, noi conosciamo:

* Annibale Pinzani, farmacista; sindaco negli anni 1870-1873 e 1890-1902.
* Gioacchino Pinzani, sindaco negli anni 1878-1881 e 1889-1890; nel 1883 aiuta il pievano don Antonio Gradoni a costruire la Cappella del SS. Crocifisso (cf. la lapide a sinistra della vetrata).
* Ermanno Pinzani, rettore magnifico dell’Università di Pisa (a lui è dedicata “via E. Pinzani”).

Nel settembre di quello stesso anno 1883, dopo una solennissima esposizione dell’Immagine sull’altar maggiore e dopo una memorabile processione, il SS.mo Crocifisso venne collocato nel nuovo tempietto innalzato dalla pietà dei fedeli. In tale occasione l’immagine del Crocifisso, annerita dai ceri e rovinata dai secoli, venne restaurata dal bolognese Gaetano Grandi.


vetrataIl nuovo pievano Giovanni Cesari, originario di San Ginesio di Arcevia (1894-1920), ingrandisce la chiesa, la dota di un organo opera di Luigi Giudici di Pesaro (7 ottobre del 1900) e aggiunge una quarta campana; fonda il circolo San Filippo Neri, l’Oratorio festivo, il laboratorio femminile Sant’Eurosia, la Cassa operaia San Filippo Neri; dipinge la cappella del SS.mo Crocifisso aggiungendo al soffitto, a tutto senso, il capolino e indora le cornici e i tre archi; pubblica le memorie del SS.mo Crocifisso. In tutto questo fervore, promuove grandi pellegrinaggi, come quello dal 24 aprile al 2 ottobre del 1898. Dopo un corso di Missioni predicate dai PP. Passionisti, fu un ininterrotto accorrere di parrocchiani, confraternite e di popolo da paesi vicini e lontani.
Nel 1904 la cappella è arricchita dell’artistico tabernacolo offerto dalla contessa Maria di Montevecchio Flajani. L’anno successivo si organizzarono nuovi e solenni festeggiamenti che culminarono nelle grandiose giornate del 3 e 4 maggio, con intervento di mons. Vescovo Diocesano, del Cardinale Giulio Boschi Arcivescovo di Ferrara, di molti Parroci, di Confraternite e di immenso popolo. Anche in questa occasione si volle che il SS.mo Crocifisso attraversasse le vie del paese, rivestite a festa. Una simile processione si ripeté nel 1916, nel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, per impetrare da Dio il dono sospirato della pace tra i popoli.


In data 3 aprile 1921 giunge il nuovo pievano, don Carlo Tommasetti. Per poter realizzare un vasto e complesso programma di opere e di iniziative, egli attende la data memoranda del 1933 in cui si celebrava l’Anno Santo Straordinario concesso dal papa Pio XI per commemorare il XIX Centenario della Redenzione (secondo l’antichissima tradizione, Gesù morì a 33 anni). Sorse un Comitato d’onore sotto la presidenza del Vescovo di Senigallia monsignor Tito Maria Cucchi e del Podestà di Monte Porzio Alfeo Cerioli e un Comitato esecutivo sotto la presidenza del cav. Cesare Canuti.
I festeggiamenti furono preceduti da un Corso di Sante Missioni e venne indetto un pellegrinaggio a questo Santuario dal 1° aprile al 30 settembre 1934. Nella domenica 6 maggio 1934 la sacra Immagine venne incoronata con una corona d’oro massiccio, offerta dalla pietà del popolo, in una celebrazione magnifica per concorso di popolo, per intensità di fede e per gli addobbi anche esteriori di tutto il paese. Monsignor Filippo Maria Mantini, vescovo di Cagli e Pergola, compì la solenne funzione dell’incoronazione alla presenza del Vescovo Diocesano, di parte del Capitolo della Cattedrale, di Autorità, Rappresentanze, Parroci, Confraternite, Associazioni religiose e civili. Il Crocifisso venne portato in processione, dopo essere rimasto esposto all’altar maggiore, in una gloria di luci, di preghiere e di canti.


Prima che la sacra Immagine fosse di nuovo collocata nella sua nicchia, un Comitato si pose all’opera, sotto la spinta del pievano don Carlo Tommasetti –come si legge nella lapide posta a destra della vetrata- per arricchire la cappella di marmi, di pitture e della vetrata polìcroma. I lavori in marmo furono affidati alla Ditta Fratelli Tecchi di Fano e le pitture ai Fratelli Bedini di Ostra, mentre la vetrata veniva eseguita dalla Ditta Giuliani Cesare di Roma. All’inaugurazione della Cappella, avvenuta il 3 maggio 1935, era presente monsignor Oddo Bernacchia, vescovo di Termoli-Larino il quale, come è scolpito sul bordo anteriore dell’altare, consacrò la chiesa e l’altare.

E QUESTO ALTARE
CONSACRO’
ODDO BERNACCHIA VESCOVO
DI TERMOLI-LARINO
3 MAGGIO 1935

Il 5 maggio si tenne la solennissima processione con il SS.mo Crocifisso; infine, l’Immagine fu riposta sopra l’altare nella rinnovata Cappella che la fede e l’amore riconoscente di tanti figli gli avevano preparata.

lapidedxLAPIDE A DESTRA DELLA VETRATA

IL MIRABILE SIMULACRO DEL CROCIFISSO DI AUREA CORONA ORNARONODONO VOTIVO

LA CAPPELLA ADORNATACON VETRATA DIPINTI E MARMICINSERO CON BALAUSTRE

PER OPERA DI CARLO TOMMASETTI PARROCOI DEVOTI DEL MEDESIMO SIMULACRO

NELL’ANNO 1935DURANTE IL XIX CENTENARIO DELLA REDENZIONECON L’INDULGENZA DEL P.M. PIO XI

ESTESO A TUTTO IL MONDO

Ma il ritmo di quegli anni straordinari non si spense e si può dire che ogni giorno affluivano a questo Santuario tante persone in cerca di luce, di conforto, di speranza, di grazie, una gara di riconoscenza verso Gesù Crocifisso, espressa con lacrime, preghiere, doni umili e preziosi. E si rimane commossi e sbalorditi per le grazie segnalate, fra la moltitudine di quelle rimaste ignorate o segrete.

C’è ancora da segnalare come il 3 maggio dell’anno 1940, così gravido di prove e di ansie a causa della guerra, la tradizionale processione riuscì particolarmente devota e solenne, con l’ingresso ufficiale in Monte Porzio del nuovo Vescovo monsignor Umberto Ravetta (notizie fin qui tratte da: CANESTRARI Renato, Note storiche, 15 maggio 1940, in TOMMASETTI don Carlo, Santuario del SS. Crocifisso in Monteporzio (Pesaro). Note storiche, Preghiere, Grazie, Società Tipografica, Fano 1941).


Si devono ricordare altresì le feste di ringraziamento organizzate dal pievano don Gualberto Paladini, dopo la Seconda Guerra Mondiale e particolarmente la giornata del Reduce del 14 settembre 1945 e, nell’anno 1959, i festeggiamenti per il 25° anniversario dell’incoronazione del SS.mo Crocifisso, con la presenza del vescovo Umberto Ravetta e di tutto il Seminario diocesano. Inoltre, è ancora viva nella memoria la celebrazione nel 1984, sotto la guida del parroco don Irio Giuliani, delle Sante Missioni, ricorrendo il 50° anniversario della solenne incoronazione, con la presenza del vescovo diocesano monsignor Odo Fusi Pecci, il quale per primo portò processionalmente l’Immagine del SS.mo Crocifisso.


Da ultimo, nell’anno 2000 che segnò il passaggio al nuovo secolo e terzo millennio, anche noi abbiamo vissuto con solennità il Giubileo Straordinario. In tale occasione il Santuario del SS.mo Crocifisso è stato insignito dalla Penitenzieria Apostolica come luogo nel quale si poteva lucrare l’indulgenza del Grande Giubileo. La festa giubilare è stata vissuta in un Settenario che a partire dal sabato 29 aprile con la S. Messa -attraverso incontri e celebrazioni; la vestizione dei nuovi confratelli della Confraternita del SS.mo Sacramento; un Concerto della Corale “E. O. Guidi”; l’inaugurazione della Mostra dei quadri-ricordo e foto della Prima Comunione, vecchie dei primi decenni del ’900; gli anniversari della Prima Comunione; un pellegrinaggio al nostro Santuario delle Comunità Parrocchiali della Vicaria di Mondolfo e delle Comunità corinaldesi di Sant’Apollonia e Madonna del Piano e della Parrocchia limitrofa di San Michele al Fiume; una concelebrazione del Vescovo Emerito Mons. Odo Fusi Pecci con don Irio Giuliani ex-parroco insieme ai Presbiteri don Sigefrido Messina e don Osvaldo Antonietti originari di Monte Porzio; una Giornata Missionaria; la celebrazione del “Giubileo dei giovani” e del “Giubileo della terza età”- ha avuto il suo culmine nella domenica 7 maggio, con al mattino la Prima Comunione dei nostri bambini e la sera la concelebrazione presieduta dal Vescovo Diocesano mons. Giuseppe Orlandoni e una solenne processione per le vie del paese con il SS.mo Crocifisso, conclusa dal discorso del Vescovo Diocesano e dal bacio, da parte di una grandissima folla di fedeli, della bella Immagine prima che fosse riposta di nuovo della sua cappella, con le note finali del concerto della Banda Musicale “Città di Corinaldo” dirett dal M° Mauro Porfiri.


Per l’occasione, riprendendo il fascicolo del pievano don Carlo Tommasetti sopra citato, è stato dato alle stampe (a cura del pievano parroco don Luigi Gianantoni, edito da TECNOSTAMPA, Ostra Vetere 2002) il libretto dal titolo: Santuario del SS. Crocifisso in Monte Porzio. Note storiche, preghiere, grazie. Su questa straordinaria festa giubilare, mi piace ricordare il commosso commento del compianto Erino Toderi (pubblicato in Camminiamo Insieme, del dicembre 2000, n. 100):«Abbiamo vissuto un anno importante, Anno Santo vissuto intensamente anche nella nostra parrocchia, con la festività straordinaria del SS.mo Crocifisso. Il programma è stato ricco di iniziative per tutti; giovani e adulti, anziani e malati, siamo stati coinvolti, per tutti c’è stata l’occasione opportuna per il pentimento, per le promesse e i propositi di impegno. Nessuno è stato estraneo.


I vari predicatori, da don Sesto Falchetti dell’Opera don Gentili di Fano al “piccolo fratello” don Arturo Paoli, dai Padri Cappuccini al vescovo diocesano Mons. Giuseppe Orlandoni, hanno sottolineato la finalità del Giubileo che è, per ogni cristiano, il raggiungimento della santità. Come si può diventare santi? Attraverso la spontaneità, la gioia, l’innocenza dei bambini; attraverso l’esuberanza e i sogni dei giovani; attraverso le difficoltà degli adulti e le sofferenze degli anziani. Questo è il vero Giubileo, così abbiamo cercato di viverlo. I temi della Settimana: “Giubileo e perdono di Dio”, “Giubileo e giustizia”, “Giubileo e solidarietà”, “Giubileo e riconciliazione fraterna”, ci hanno messi nella condizione per riscoprire i valori del Vangelo. Nella figura della Croce, seme e lievito del Regno, riscopriamo il vero significato della vita».


Ora, in continuità con questa lunga storia, ci accingiamo a vivere un altro momento importante nella devozione del nostro popolo al SS. Crocifisso, la Festa Straordinaria per il 75° anniversario dell’incoronazione della sacra Immagine. Come preparazione, abbiamo già vissuto la Missione Parrocchiale e sono state restaurate, dalla mano esperta di Ermanno Landini, le croci e le edicole posizionate durante i passati decenni nei crocicchi e nelle strade del paese.
La nuova celebrazione possa infondere a tutta la Comunità la volontà e la forza di proseguire nella fede e nella pratica cristiana, così come l’hanno vissuta i nostri avi e padri nella fede, aprendoci ad un futuro di speranza. Il mio fervido voto è che in tutti i parrocchiani e nei numerosi pellegrini che continueranno a venire a questo Santuario rinasca e si accresca l’amore al Santissimo Crocifisso e alla sua Santa Croce, segno di risurrezione e di salvezza per l’intera umanità.

(a cura di don Luigi Gianantoni)

Nuovo splendore della Cappella del SS. Crocifisso restaurata a circa un secolo dalla sua messa in opera
santuarioNell’avvicinarsi della Festa Straordinaria per il 75° anniversario dell’incoronazione della sacra Immagine del SS.mo Crocifisso, avvenuta il 6 maggio 1934, si è felicemente compiuto -con il permesso della Soprintendenza ai beni artistici e storici delle Marche di Urbino- il lavoro di restauro della Cappella, sita a sinistra dell’altar maggiore della pieve parrocchiale di San Michele Arcangelo in Monte Porzio. La Cappella era stata abbellita nei primi anni del ’900, prima dal pievano-parroco don Giovanni Cesari (1894-1920) che aggiunse al soffitto il cupolino dipingendolo e indorò le cornici e i tre archi, e in seguito dal pievano-parroco don Carlo Tommasetti (1820-1943) il quale negli anni 1933-1935 –in occasione della grande festa giubilare che celebrava il XIX secolo della Redenzione- rivestì di marmi, di pitture e della vetrata polìcroma la cappella medesima.
Com’era ben visibile e come si esprime nel progetto preventivo, in data 28 giugno 2008, il restauratore Romeo Bigini, «la cappellina, rivestita di marmi polìcromi, fino all’altezza di m 3 appare fortemente annerita e offuscata da patine di sporco dovuto al deposito di fumo di candele, schizzi di cera ed a vecchi trattamenti eseguiti con sostanze oleose; la maggior parte delle cornici dorate risultano essere state ridipinte con colore a porporina fortemente ossidate ed annerite. La volta dipinta, maggiormente annerita, presenta anche fenomeni di esfogliazione del colore e ridipinture alterate; alcune vecchie lesioni risultano essere state risarcite con grossolane stuccature ridipinte».
Il lavoro è stato eseguito dalla Ditta Romeo e Franco Bigini di Urbino, secondo il seguente progetto:

Restauro delle superfici dipinte.
Consolidamento preliminare del colore da effettuare localmente nelle zone che presenteranno fenomeni di sollevamento della pellicola pittorica, attraverso impacchi localizzati di idrossido di bario o con leggere applicazioni di resina acrilica opportunamente diluita: la scelta del prodotto più idoneo da utilizzare sarà stabilito attraverso prove preliminari da valutare in corso d’opera.
Consolidamento degli intonaci da eseguire mediante iniezioni di emulsioni a base di calce.
Pulitura preliminare della superficie dipinta: rimozione dei depositi di polvere e fumo superficiali, operazione da eseguire a secco per mezzo di spazzolature e con l’utilizzo di gomme wischab; successiva applicazione di emulsioni solventi a base di carbonato di ammonio, per la rimozione di eventuali ridipinture e delle patine di sporco persistente; il solvente sarà applicato su veline di carta e mantenuto a contatto con la superficie dipinta il tempo necessario alla rimozione del materiale da asportare,
La stuccatura delle lacune sarà effettuata con malta costituita da intonaco finemente macinato addizionato con grassello di calce invecchiato, le integrazioni saranno livellate alla superficie originale adiacente.
Il restauro pittorico sarà eseguito con colori ad acquerello a velature sottotono nelle zone particolarmente abrase e con integrazioni nelle zone dove sarà opportuno effettuare piccole ricostruzioni; saranno comunque seguite le indicazioni impartite dal Direttore dei lavori.
Superficie dipinta mq 25 circa.

marmiRestauro delle superfici in marmo.
Pulitura preliminare dei rivestimenti in marmo dai depositi di sporco incoerente, operazione da effettuare a secco mediante spazzolature aspiratori; successiva pulitura definitiva con rimozione delle patine di sporco grasso dovuto ai depositi di fumo di candele, schizzi di cera e vecchi trattamenti a base di sostanze oleose, operazione da eseguire con l’applicazione di impacchi solventi composti da metilcellulosa ed ammonio carbonato, seguito da un accurato lavaggio con acqua deionizzata.
Ricomposizione di parti fratturate mediante incollaggi con resine epossidiche bicomponenti e microcuciture con piccole barre di acciaio inox.
Stuccatura delle piccole mancanze e delle linee di giunzione dei singoli elementi lapidei da eseguire con marmorina e/o con grassello di calce e polvere di marmo; successiva rasatura e livellatura delle stuccature alla superficie adiacente; le stuccature saranno in seguito intonate con leggere velature di colore ad acquerello.
Trattamento protettivo finale delle superfici con l’applicazione di una leggera stesura di cera microcristallina in seguto lucidata con tamponi di panno morbido.
Superficie mq 35 circa.
Realizzazione di una dettagliata documentazione fotografica da eseguire prima, durante e dopo il restauro; le riprese fotografiche saranno realizzate su negativi formato 24×36 e restituite in stampe a colore formato 13×18 e su supporto digitale.
Importo complessivo (IVA inclusa) euro 16.440,00 (sedicimilaquattrocentoquaranta).

Il progetto di restauro era partito alcuni mesi fa, dietro richiesta e generosa offerta di contributo da parte della Fam. Paolini, colpita da grave lutto per la morte di Antonietta, come atto di fede e di consolazione in memoria della carissima figlia e sorella. Per collaborare alla messa in atto dell’opera, si sono poi generosamente aggiunte alcune famiglie e altre persone interne ed esterne alla Parrocchia. Inoltre ha contribuito la Confraternita del SS. Sacramento. Un riconoscente ringraziamento va rivolto a tutti coloro che hanno partecipato al recupero di questa bella opera di devozione, di storia e di arte.
A questa Cappella hanno fatto riferimento le generazioni passate nella fede del Salvatore, con le richieste di aiuto e il rendimento di grazie. Avvicinandoci alla Sacra Immagine, sembra quasi di ascoltare i sospiri della gente, come se fossero incuneati nei marmi e negli arredi. Siamo contenti che tutto questo non sia andato disperso per l’incuria e l’indifferenza, bensì viene dalla nostra generazione lasciato alla preghiera e al godimento di quelle future.
(Il pievano/parroco don Luigi)

 

Restauro dell’immagine del
SS. Crocifisso

Carissimi parrocchiani,

nell’anno 2012-2013, dedicato all’approfondimento della fede
cristiana, ricorre anche il 1700° Anniversario Costantiniano della visione della Croce, visione avvenuta nel 312 d. C. e, insieme, dell’Editto di tolleranza di Milano, emanato dagli imperatori d’Occidente e d’Oriente Costantino e Licinio nel 31 3 d. C.

Per questa ricorrenza, dopo accurata riflessione, si è deciso
di restaurare l’immagine lignea del SS. Crocifisso.

La venerata immagine aveva subito vari ritocchi in epoche diverse e aveva perso il suo originale aspetto, come riferito a seguito di un sopralluogo da parte degli esperti del settore della Soprintendenza ai beni artistici e storici delle Marche di Urbino .

Inoltre, il legno della croce stava perdendo parti di doratura e vi era la necessità di un accurato rinforzo dei decori ornamentali, nonché di un intervento antitarlo.

Il restauro viene vissuto come un momento di grande rispetto e devozione per l’immagine del SS. Crocifisso. Per la popolazione di Monte Porzio è un simbolo veneratissimo da generazioni, alle quali ha dispensato grazie e conforto.

Il costo del restauro è affidato alle offerte di quanti vorranno partecipare a questo gesto che rimarrà nella memoria e nella storia futura.

Il vostro parroco Don Luigi Gianantoni

Nuovo splendore della chiesa

Il suo spazio liturgico per la celebrazione.
Il luogo dell’assemblea cristiana.

Con l’installazione del Fonte Battesimale e dell’Ambone o tribuna per le letture liturgiche e l’annuncio della Parola, finalmente è giunto a completamento il lavoro di ristrutturazione della nostra chiesa/pieve parrocchiale di San Michele Arcangelo. Dopo il felice restauro della cappella del SS.mo Crocifisso, erano stati compiuti i lavori di  ricostruzione dell’altar maggiore in pietra, sulla base del ritrovamento delle due colonnine e del paliotto centrale appartenenti all’antico altare, forse settecentesco. In più, si era proceduto alla ripulitura della cappella dell’Addolorata posizionamdo sulla parete destra l’Icona delle donne al sepolcro, opera di Ivan; alla levigatura, stuccatura e lucidatura completa del pavimento; alla tinteggiatura dell’edificio sacro e all’installazione dei lampadari sulle navate laterali, insieme alla rinnovata illuminazione del soffitto della navata centrale.
Ora, a completamento dello spazio celebrativo, si è giunti alla ricostruzione in pietra del fonte battesimale e dell’ambone, sullo stile dello stesso altare. Così si è creato, in modo bello e armonioso, il luogo dell’Assemblea cristiana, uno spazio vivente da abitare con una liturgia avvolgente e coinvolgente.

Celebrare in modo cristiano.

Nostro compito e impegno, attuando lo spirito del Concilio Vaticano II, è quello di imparare l’arte di celebrare in modo cristiano il “mistero della nostra fede”. Si tratta di manifestare un mistero, quello di Dio stesso, che è invisibile e totalmente altro, e che nel contempo si rivela all’umanità.
La celebrazione cristiana è propriamente epifanìa, rivelando l’immensità dell’amore di Dio e svelando il significato profondo dell’esistenza umana in tutte le sue dimensioni. Primariamente, è Dio che si è manifestato attraverso mediazioni umane: il Verbo si è fatto carne; la parola di Dio ha preso corpo in un popolo e in una storia attraverso il Figlio Unigenito, ed è diventata Scrittura, cosicché la fede in Cristo Salvatore viene recepita e trasmessa attraverso dei riti e dei simboli: l’immersione nell’acqua accompagnata dalla Parola, la frazione del Pane, la condivisione del Calice. Ma la liturgìa è anche “un’epifanìa o manifestazione della Chiesa: essa è la Chiesa in preghiera; celebrando il culto divino, la Chiesa esprime ciò che è” (Giovanni Paolo II).

Il luogo dell’assemblea ecclesiale per la celebrazione liturgica.

Il luogo in cui i cristiani si radunano per celebrare il Signore è qualificato dalla celebrazione, ma a sua volta il luogo influenza la celebrazione stessa.
«L’assemblea celebrante genera lo spazio liturgico, plasma l’architettura della chiesa, perché essa stessa è generata dalla parola di Dio. Dio, attraverso la sua Parola, costituisce un popolo in assemblea santa. Ma c’è anche un rapporto diretto tra lo spazio architettonico, la disposizione delle pietre, la collocazione degli elementi, la realizzazione degli spazi e l’edificazione della comunità cristiana, che esprime una determinata idea di Chiesa» (E. Bianchi).
Il luogo è un elemento indispensabile alla celebrazione. E’ luogo d’incontro: incontro con gli uomini, fratelli e sorelle in Gesù Cristo, e incontro con il Signore. E’ uno spazio santo che esprime l’alleanza, uno spazio orientato che indica un cammino da compiere con Cristo e dietro a lui. La chiesa, luogo del battesimo, dell’ascolto della parola e della celebrazione dell’eucaristia, è essenzialmente un “luogo pasquale”.
Quando si entra in una chiesa, spesso le prime impressioni sono sufficienti per farsi un’idea del luogo: è un luogo che dà testimonianza di un Dio vivente, oppure di un Dio superato o addirittura abbandonato? Noi non siamo mai abbastanza attenti al decoro e alla dignità dei luoghi. La chiesa è segno della Chiesa, spazio abitato dall’assemblea, spazio vivente!
«E’ necessario che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo l’immagine dell’assemblea riunita, consentire l’ordinata e organica partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno» (Ordinamento generale del Messale romano, 294).
Tutto parte dall’assemblea, fedeli e ministri. Un’assemblea “avvolgente”: è essa che qualifica lo spazio. E proprio perché è lo spazio dell’assemblea (ekklesìa), la chiesa è il luogo dell’incontro con il Signore, il luogo della preghiera, della trasmissione della parola di Dio, della celebrazione dell’eucaristia, dei sacramenti e di altri eventi pubblici o familiari, diventando così un luogo di memoria (“è là che sono stato battezzato, che mi sono sposato!”). In quanto realtà primaria, l’assemblea deve avere una percezione di se stessa quando celebra. Solo così può essere inteso come tale il “noi” della preghiera eucaristica. La parola di Dio ascoltata può suscitare una risposta dell’assemblea solamente se quasta ha coscienza di aver ricevuto collettivamente tale parola.
Ora vogliamo presentare e spiegare i molteplici spazi celebrativi della nostra pieve intitolata a San Michele Arcangelo in Monte Porzio.

Uno spazio architettonico che guarda ad Oriente.

Le basiliche e chiese cristiane, fin dall’antichità, avevano la posizione dell’àbside che guardava ad Oriente (in greco: anatolé; in latino: oriens/che sorge), poiché il sole era il segno del Messia/Cristo che sorge dall’alto e che viene. Sono significativi in tal senso alcuni testi del NT:
«Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte»
(Luca 1,78-79)
«Di nuovo Gesù disse: “Io sono la luce del mondo;
chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”»
(Giovanni 8,12).
Anche la nostra chiesa-edificio è significativamente “orientata” verso il sorgere del sole, appunto ad Oriente. In tal modo viene sottolineata la venuta del Cristo che spunta dal cielo e la sua presenza in mezzo all’Assemblea liturgica che si raduna attorno a Lui nel giorno della risurrezione.

L’àbside.

Entriamo anche noi nell’edificio incamminandoci verso Cristo Signore insieme ai fratelli e sorelle nella fede, per celebrare la gloria di Dio che dona salvezza e pace. Sullo sfondo ci appare l’àbside e, nell’alto della semicalotta o “catino”, la “croce gloriosa del Signore risorto”. L’àbside è la parte cava dell’edificio, fornita di volta a pianta semicircolare, che è posta al termine della navata maggiore. Questo spazio si trova davanti all’assemblea: è ciò che le dà un orientamento. L’àbside èvoca la gloria di Dio, davanti a noi. E’ lo spazio che manifesta l’assenza di Colui che si rende presente. E’ lo spazio celeste o escatologico che ci orienta verso il Regno a venire. La croce pasquale evoca anche la resurrezione: si pensi alle croci romaniche o dorate o a quella di San Damiano d’Assisi.

Il battistero con il fonte battesimale.

Il primo sito essenziale, che ci si presenta in fondo alla chiesa sulla destra, è lo spazio corrispondente all’assemblea liturgica che si raduna “là dove sgorga il fonte battesimale”. Il battistero inteso non solo come luogo dell’immersione battesimale, ma come primo e originario spazio sacramentale ed ecclesiale.
La sua antica singolare collocazione al di fuori o all’entrata della chiesa –ove è possibile a causa dello spazio e della struttura dell’edificio sacro- sta a sottolineare l’ingresso mediante il battesimo nella famiglia dei figli del Padre. Tutto deve concorrere a fare di questo spazio un autentico luogo di “iniziazione” e un “atrio simbolico” per chiunque entri in chiesa, affinché continui ad essere uno spazio di memoria per tutti i battezzati.
Anche la forma ottagonale del fonte battesimale esprime una dimensione misterica connessa col battesimo: la “memoria escatologica” dell’ottavo giorno, ossia la teologìa della domenica giorno del Signore e della risurrezione memoria anticipatrice del giorno eterno. A partire dai dati biblici, i Padri della Chiesa hanno dato diversi nomi alla domenica che non solo ne indicano la portata e le valenze teologiche, ma ne plasmano anche e orientano la spiritualità cristiana. I cristiani sono passati da una designazione della domenica derivata dall’ambiente giudaico (“primo giorno dopo il sabato”, “primo giorno della settimana”) a una denominazione che vuol esprimere la novità cristiana (“giorno del Signore”, “giorno domenicale/signorile”); poi, per un fine missionario, a una designazione mutuata dall’ambiente pagano (“giorno del sole”). In seguito incontriamo la dizione “giorno della risurrezione” (anastàsimos heméra) cara ai Padri greci, che indica non soltanto il giorno di Pasqua ma ogni domenica.
Infine viene la denominazione di “ottavo giorno”, dovuta probabilmente all’espressione giovannea “otto giorni dopo” (Gv 20,26) e, comunque, connessa al fatto che la domenica seguiva il settimo giorno ebraico che festeggiava il compimento della creazione. «La forza di questa “strana” espressione sta nel voler indicare una novità e un’ulteriorità rispetto al ciclo settimanale: poiché la cifra “otto” indica la pienezza che trascende il tempo e lo spazio, l’ottavo giorno è la denominazione che fa della domenica la figura del mondo futuro, la figura dell’eternità… Secondo Origene (183-254 d. C.), l’ottavo giorno è “il simbolo del mondo futuro, perché nasconde il dinamismo della risurrezione”. L’evento pasquale è un fatto aperto al futuro e dinamico, ordinato alla venuta del Cristo nella gloria alla fine dei tempi, è profezia del Regno, è caparra della resurrezione dei morti nell’ultimo giorno» (E. Bianchi).
In tal modo, la forma ottagonale del fonte battesimale esprime la novità ultima e definitiva della vita senza tempo che l’uomo riceve in Cristo nel battesimo, appunto la vita eterna. E, secondo la Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento, sono beati coloro che in questo grembo “nascono da acqua e Spirito” (Gv 3,5), “con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo” (Tt 3,5-7), “con il lavacro dell’acqua mediante la Parola” (Ef 5,26; cf. Rm 6,4; Ap 22,1-2.14; Es 14,22; Ez 36,25-28; Zac 12,10a; 13,1).
Tale simbolismo biblico-teologico viene espresso dalla splendida catechesi cristiana impartita nel II secolo d. C. e riassunta nella frase della Lettera di Barnaba (11,8) che è stata incisa sul davanzale prospiciente la vasca battesimale del nostro nuovo fonte:
«BEATI COLORO CHE SPERANDO NELLA CROCE DISCESERO NELL’ACQUA DEL BATTESIMO».

Il coro dell’assemblea.

Il coro, composto dal presbiterio e dallo “spazio di gloria” situato sullo sfondo, comprende tre siti o poli essenziali, secondo la tradizione della Chiesa: l’altare, l’ambone e la sede di colui che presiede. Sono i tre punti verso i quali convergono gli sguardi dell’assemblea poiché manifestano la presenza del Cristo.

1) L’ALTARE, LUOGO DELL’EUCARISTIA

L’altare, posto al centro, è simbolo della mensa del Signore attorno alla quale è riunita tutta l’assemblea. Esso non è un semplice arredo e neppure una mensola a “supporto di fiori, candelieri e oggetti ingombranti che nulla hanno a che farre con la liturgia eucaristica; gli stessi candelieri possono essere opportunamente collocati a fianco di esso (Ordinamento generale del Messale romano 305).
L’altare è il luogo della celebrazione del dono vitale di Cristo nell’ultima cena e il segno permanente del Cristo sacerdote e vittima; è mensa del sacrificio e del convito pasquale. Esso viene baciato dai presbiteri così come il libro del Vangelo. Il materiale marmoreo con base e ornamento di pietra rimanda all’esaltazione e trasformazione  della materia in forza dell’incarnazione del Verbo di Dio.

2) L’AMBONE, LUOGO DELLA PROCLAMAZIONE DELLA PAROLA

Un ambone in armonia con l’altare, e sufficientemente monumentale da essere un polo liturgico, può manifestare pienamente Gesù Cristo, Verbo di Dio, che si offre a noi per l’alleanza eterna e che ci interpella per suscitare la nostra risposta. Su di esso viene deposto il libro delle Sacre Scritture: davanti all’assemblea santa che vuole essere tale, deve esserci la Parola che il Signore le rivolge. E’ questa autorevole parola di salvezza che crea una relazione tra le persone le quali non si sono scelte, ma si riconoscono come debitrici dell’unica alleanza.
La Parola proclamata chiede l’ascolto: Shema‘ Israel, Ascolta Israele (Dt 6,4). Davanti a noi non abbiamo solo un testo scritto, ma piuttosto qualcuno che parla (Mosè, un Profeta, Gesù, Paolo… e giù giù fino a colui che oggi proclama la Parola). Per noi cristiani, è il Cristo, il Verbo fatto carne che parla all’Assemblea. L’ascolto religioso ha mantenuto “viva” la rivelazione biblica, impedendo che diventasse fossile venerabile da tenere in museo, ma senza conseguenze per la vita quotidiana. I testi biblici, grazie alla comunità (Sinagoga o Chiesa) si mantengono “vivi” e fanno risuonare tali voci ed esperienze di vita per ogni generazione.
Il Concilio Vaticano II (Dei Verbum 21) afferma che il cristiano si nutre «del pane della vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo». Nel quarto Vangelo Gesù annuncia non solo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna» (Gv 6,54), ma anche: «Chi ascolta la mia parola … ha la vita eterna» (Gv 5,24). Nutrendosi di quel pezzo di pane corpo di Cristo ci si nutre, al tempo stesso, di quella parola del Signore; quel frammento di Pane prende il sapore di quel frammento di Vangelo. Non ci si può nutrire del corpo eucaristico del Signore se non dopo aver ascoltato, accettato e fatto obbedienza alla sua parola.
Per questo, sul prospetto dell’ambone, ora ricostruito in armonia con l’altare, sono stati posti dei simboli richiamanti la Parola che dall’ambone viene proclamata:
– sul frontespizio è scolpita la frase: «LAMPADA PER I MIEI PASSI E’ LA TUA PAROLA, LUCE SUL MIO CAMMINO»,
– mentre sul pilastro cui s’appoggia l’ambone è posta in rilievo una spada in bronzo che sembra penetrare nella pietra, con la prima e ultima lettera dell’alfabeto greco A e W (Alfa e Omega), a significare che Cristo è il Primo e l’Ultimo, l’inizio e il fine delle creazione e della storia.
Il significato di tali simboli è magnificamente spiegato dal biblista Gianfranco Ravasi, nella presentazione della nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme:
«Una lampada su un sentiero buio; la pioggia che scende dal cielo su un terreno arido e stepposo; una spada che penetra nella carne: è con questi tre simboli che la parola di Dio si autodefinisce nella Bibbia. Il Salmo 119 vede l’esistenza dell’uomo come una strada avvolta nelle tenebre. Ecco, però una luce che sfavilla:
«Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Salmo 119,105).
Il profeta anonimo chiamato Secondo-Isaia, cantore della liberazione di Israele dalla schiavitù “lungo i fiumi di Babilonia”, concludendo il suo libretto di oracoli disegna il panorama della Terra Santa: una distesa arida e screpolata… Ma a primavera e in autunno, su questo scenario di fuoco e di caldo si stende il velo della pioggia e la terra è percorsa da un brivido di vita. Così è la storia di un popolo morto, fecondato dalla parola divina:
«Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Isaia 55,10-11).
Quella solenne e raffinata omelia della Chiesa delle origini che è la Lettera agli Ebrei vede ramificarsi all’interno del popolo di Dio la stessa pericolosa tentazione che aveva colpito Israele nel deserto sinaitico, la tentazione dello scoraggiamento, dell’inerzia, della nostalgia. Ecco allora la provocazione violenta di una spada che penetra e sconvolge:
“La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio;
essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla,
e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebrei 4,12).
“Prendete … la spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Efesini 6,17).
“Vidi uno simile a un Figlio d’uomo …
e dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio” (Apocalisse 1,13.16).
La parola di Dio che viene proclamata davanti all’assemblea deve, quindi, trasformarsi in lampada splendente, in acqua viva, in spada penetrante».

L’ambone della nostra pieve, collocato “dentro” l’assemblea in costante rapporto diretto con i fedeli, è “luogo liturgico” della Parola. Nell’architettura ambonica si trova sottolineata la dimensione della Parola nell’annuncio pasquale, richiamando la tomba vuota quale “monumento della risurrezione” da cui il Cristo risorto parla agli uomini attraverso i Vangeli. Esso, «in quanto simbolo, è presenza efficace dell’annuncio pasquale all’universo mondo» (Crispino Valenziano).

3) LA SEDE DEL PRESIDENTE.

Anche il vescovo o il presbitero che presiede la celebrazione liturgica rappresenta il Cristo, di cui non può prendere né occupare il posto. La sede designa il presidente non come capo bensì come parte integrante dell’assemblea cristiana. Ciò implica che egli non stia in permanenza in posizione frontale, ma che insieme all’assemblea si volga regolarmente verso “Colui che è, che era e che viene”, in modo da consentire la guida della preghiera, il dialogo e l’animazione. Si tratta di rendere chiaramente visibile la presidenza come icona del Cristo servo, guida e maestro, non cessando di essere un fratello che cammina con tutti gli altri e che è chiamato a precederli sull’esempio di Gesù.

Gli altri luoghi periferici.

Vi sono ancora altri spazi ecclesiali: per la confessione e il sacramento della riconciliazione; per la preghiera davanti al Santissimo Sacramento; per la venerazione della Vergine Maria madre di Gesù il Cristo o per la memoria di un santo…
Questi luoghi ovviamente non entrano in concorrenza con il luogo dell’assemblea, ma al contrario la prolungano e ad esso conducono.

Uno spazio vivente da abitare.

Perché lo spazio liturgico sia abitato bisogna che questi luoghi siano utilizzati potendo circolare dall’uno all’altro. Venire all’assemblea della domenica, prendendosi la briga di spostarsi, è già un atto di fede. Entrare in una chiesa, spostarsi da un punto all’altro o lasciarsi spostare simbolicamente da quelli che fanno la processione, è già una liturgìa. “La liturgìa è un cammino come quello dei due viandanti di Emmaus. Essi passano dal “non-conoscere al riconoscere”. Ecco il cammino che ci fa fare la liturgìa: lo “spostamento”, la “conversione del cuore” che essa realizza. Ogni gesto acquista una potenza simbolica che lo oltrepassa. L’utilizzo dello spazio fa delle nostre liturgìe un cammino con Cristo e permette ai nostri luoghi di assemblea di essere segni viventi della Chiesa del Risorto.
In conclusione, l’insieme dell’aula assembleare della nostra pur piccola pieve parrocchiale esprime il mistero cristiano vissuto dai battezzati in Cristo Gesù e celebrato da «un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», come afferma il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium  3), riprendendo un’espressione dei Padri della Chiesa, quali Cipriano, Agostino e Giovanni Damasceno. Ogni battezzato che entri in chiesa per partecipare alla celebrazione liturgica nel Giorno del Signore (“Dies Domini”, “Dies Dominica”) non si fermi alla porta di entrata e uscita bensì, procedendo in avanti, passi a fianco del fonte battesimale facendo memoria della propria rinascita cristiana e, con tutta l’Assemblea, si ponga di fronte all’ambone per l’ascolto della Parola e attorno all’altare per la celebrazione eucaristica; infine, giunga alla cappella del Santissimo Crocifisso quale luogo della preghiera personale e contemplativa, che prolunga nella settimana la comunione al sacramento del Corpo e Sangue di Cristo.
Ora esca pure dal luogo in cui si raduna l’Assemblea liturgica, per immergersi di nuovo nel mondo degli uomini e della storia.

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